Ddl Zan affossato? colpa di Pd-5s che l’han votato
DI DANIELA RANIERI
In questi giorni è diventata mainstream un’opinione che prima viaggiava solo in qualche canale criptato del dark web o in certi consessi alcolici della Garfagnana, dopo il nocino: se una legge approvata alla Camera non passa al Senato, la colpa non azzoppa la legge al Senato, ma di chi l’ha proposta, sostenuta e votata in entrambe le Camere esattamente come aveva detto di fare. A sostenere la bislacca tesi non è solo Renzi (non ci sarebbe da scriverci un editoriale, non essendo una notizia lo stato in cui versa), insieme a tutta l’amorfa pletora dei “renziani”, buoni solo a copiaincollare i tweet a pappagallo del capo; ma fior di analisti e commentatori, secondo cui la colpa del leggicidio Zan è di Pd e 5Stelle, e niente affatto dei renziani, che la stessa legge volevano modificarla.
Così accade che gente studiata imiti il vocabolario primitivo dei complici della destra in fondi di un certo spessore analitico: Se Renzi – che non ha votato in Senato, anche se sarebbe pagato per quello, perché momentaneamente impossibilitato causa impiego concomitante in Arabia Saudita – e i suoi emissari dicono che Pd e 5Stelle portano la “responsabilità morale e politica” di aver voluto “forzare” e “mettere le bandierine” con “arroganza”, Stefano Folli su Repubblica dice che il Pd ha voluto fare una “prova di forza” e un “braccio di ferro” rifiutandosi di modificare la legge secondo i desiderata di Renzi. Anzi, fa di più: invita a chiedersi quale fosse “la strategia del Pd”, e a dirla tutta “non è del tutto chiaro” nemmeno “l’obiettivo di Enrico Letta”, il quale forse non voleva che passasse la legge scritta dal deputato del suo partito Alessandro Zan, ma voleva perdere “per coprire problemi interni sia al Pd sia all’alleato 5Stelle”, e magari “rilanciare una battaglia più generale contro i renziani (accusati di boicottaggio)”. Poverini, è inspiegabile che alcuni abbiano pensato a loro come ai principali tra i 16 franchi tiratori che a scrutinio segreto hanno votato con la destra: un partito fondato da un politico di così preclara lealtà! Il Pd avrebbe dovuto fare un “compromesso” e una “trattativa”: una trattativa Pd-Renzi-La Russa-Pillon ed erano tutti contenti.
L’ipotesi che a Renzi del ddl Zan non fregasse niente dall’inizio ma si sia avventato su un suo punto, quello sull’identità di genere, per avere come al solito qualcosa su cui esercitare la sua volontà di prepotenza e dimostrare quanto il suo partitello valga in Parlamento a dispetto di quanto poco valga fuori, oltre che per godere della disfatta del Pd, non sfiora i commentatori.
L’opinione corrente è corroborata da interviste a personaggi come il senatore Marcucci, che parla di “gestione fallimentare” da parte del Pd, che sarebbe il suo partito; cioè, il Pd per non essere fallimentare deve ascoltare Renzi, che l’aveva portato al 18% e in proprio viaggia sotto il 2.
Letta intanto sta per fare sui giornali la stessa fine di Zingaretti. Come tutti sanno, Zingaretti si è dimesso dopo essere stato insultato per mesi perché sosteneva il governo di cui faceva parte, invece di dar retta ai capricci di Renzi come tutti i giornali auspicavano. Così è nato l’attuale governo: il sistema confindustrial-editoriale sperava che gli elettori si sarebbero sorbiti il beverone di una maggioranza con tutti dentro, con Renzi salvatore della Patria per “aver mandato a casa gli incompetenti e aver portato Draghi” (così dice ancora lui), solo che le cose non stanno andando secondo i piani. Conte è ancora il leader di partito più gradito e Renzi il meno gradito dagli italiani, che piuttosto che dire di votare per lui si tranciano la lingua coi denti come Zenone di Elea.
Nel coro di biasimo del perdente Letta, Folli offre un paio di idee: se Letta “intendeva vincere attraverso una prova di forza, forse non ha reso un buon servizio alla minoranza che voleva tutelare”. Ecco con chi deve prendersela la comunità Lgbtqia+, con Letta. E se proprio vogliamo andare a fondo della questione, “non si ricorda alcun gesto convinto di Conte a favore della legge” (non è chiaro che tipo di gesto, oltre a quello di esprimersi a favore di una legge “di civiltà contro ogni discriminazione”: forse avrebbe dovuto sfilare al Gay Pride inguainato in una bandiera arcobaleno). Ecco chi è stato: Conte, che non era in Senato (e non per presenziare a gettone ai trastulli megalomaniaci del principe che si fa ritrarre in cielo coi droni, ma perché non è in Parlamento).
Da ultimo, due curiosità irresistibili: Renzi, che il Senato lo voleva abolire come seconda Camera per infilarci dentro amministratori locali dotati di immunità e non eletti dai cittadini, scopre d’un tratto che il Senato gli serve eccome per fare i suoi giochini in vista dell’elezione per il Quirinale. Letta si è accorto che Renzi è un po’ di destra; gli manca solo accorgersi che Marcucci è renziano e che Venezia è cara e poi è a cavallo.
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