martedì 31 agosto 2021

L'Amaca

 

Il drone dei Pink Floyd
di Michele Serra
La tecnologia non manca, i costi sarebbero sicuramente inferiori, e di molto, a qualunque operazione militare. Si fa così: si prendono centinaia di migliaia di droni che diffondono musica e si rioccupa l’Afghanistan con quelli. Si sorvolano le città e le valli, e per ogni drone sonoro abbattuto dalla contraerea talebana se me mandano altri due. Si trasforma quel Paese in un immenso auditorium, solo alcune remote pietraie potrebbero essere escluse dalla mappa per garantire anche le macchie di silenzio (senza il silenzio non c’è musica).
Per la playlist c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ovviamente tutto il repertorio di Fawad Andarabi, il folk singer (cantante popolare) afghano ucciso pochi giorni fa dai talebani perché la smettesse di cantare.
Musica cinese, mongola, persiana, indiana, africana, perché non si dica che l’Occidente vuole imporre se stesso, cosa tra l’altro abbastanza vera. Poi Beethoven, Vivaldi e Mozart a tonnellate, la lirica, il jazz, il rock, il punk, la dodecafonia (in piccolissime dosi), perfino — ma in località minori — il liscio.
Vedo bene, sopra il comando generale dei talebani, i Pink Floyd (" We don’t need no education "). Uscirebbero pazzi per la rabbia.
Nirvana e Clash ovunque, Brel e Brassens, De André, Joni Mitchell, Pavarotti, Mercedes Sosa, il fado, il samba, il tango, la milonga.
La cosa più simile alla voce di Dio — la musica — che scende e libera le anime, seduce perfino gli omacci con il mitra a tracolla.
È una cosa che non si farà mai. La lobby delle note, di fronte a quella delle armi, conta meno di zero. Si provvederà a ben altre spese, e i droni, tutti quanti, sono in altre faccende affaccendati. Era solo un sogno.
Anche gli afghani, del resto, la musica potranno solo sognarla.

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