Imbecillistan
di Marco Travaglio
Su Kabul, l’unica cosa che stupisce è lo stupore. Possibile – si domanda il Giornalista Unico sul Giornalone Unico dall’alto del suo ventennale “atlantismo” e “riformismo” – che l’Afghanistan, dopo vent’anni di esportazione della democrazia e di lotta al terrorismo a suon di bombe, di morti e di torture, si riconsegni ai Talebani? Possibile che il popolo non dia il sangue per difendere tal Ghani, il presidente-fantoccio che gli abbiamo regalato noi e che fra l’altro se l’è già data a gambe? Possibile che l’invincibile armata mercenaria di 300 mila soldati reclutata, equipaggiata e addestrata dagl’invasori (anch’essi fuggiti) si sia squagliata come neve al sole anziché combattere per conto loro, senza neppure quei “tre mesi di resistenza” che i nostri “esperti” prevedevano fino all’altroieri dando per certo l’accordo per un “governo di transizione” gradito all’Occidente? Da vent’anni le meglio firme del bigoncio che se la tirano da “competenti”, embedded al seguito della destra berlusfascia e della “sinistra” blairiana sbavavano per la “guerra al terrorismo” senza mai azzeccarne una. Più i nostri eroi prendevano legnate moltiplicando in tutto il mondo il terrorismo che dicevano di combattere, più raccontavano che stavamo vincendo noi. E ora, tomi tomi cacchi cacchi, scoprono quello che chi ha occhi per vedere sa dal 2001: i Talebani, che 20 anni fa stavano sulle palle ai 3/4 degli afghani, tornano al potere da trionfatori, con l’aureola degli eroi della resistenza. E ancora una volta ci hanno sconfitti con le nostre armi (da noi fornite al cosiddetto “esercito regolare”, subito arresosi nelle loro mani).
Eppure il direttore di Repubblica Maurizio Molinari spiega come la guerra di Bush-Blair-Berlusconi, tre leader che a stento sapevano dov’era Kabul, fosse giusta. Cioè che dietro l’attacco alle Torri Gemelle non ci fossero le satrapie petrolifere del Golfo, in testa l’Arabia Saudita (quella del Nuovo Rinascimento renziano), ma i Talebani (che non sono neppure arabi). “Al-Zawahiri e Bin Laden – scrive Sambuca restando serio – trovarono questo santuario jihadista nell’Afghanistan dei talebani del Mullah Omar – che li ospitò, sostenne e finanziò fino a consentirgli di organizzare l’attacco agli Stati Uniti dell’11 settembre 2001 – ma dopo l’intervento americano la base territoriale svanì”. Una tesi che nemmeno i suoi amici del Pentagono osano più sostenere. Quando i Talebani del mullah Omar&C. e il califfo saudita Bin Laden combattevano i sovietici, agli Usa piacevano un sacco: le armi gliele passavano loro. L’incontro fra i due capi avvenne allora: Osama foraggiò i mujaheddin contro l’Urss, d’intesa con gli Usa e con tutto l’Occidente. E poi finanziò la ricostruzione dell’Afghanistan: strade, scuole, ospedali. Perciò era amato dagli afghani e quando Omar entrò in Kabul nel ‘96 lo lasciò lì. Ma nel ‘98 Bin Laden fu sospettato per gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania. E Bill Clinton prese a bombardare la zona di Khost, pensando che si nascondesse lì: invece morirono centinaia di civili. Partì una trattativa fra talebani e Casa Bianca: Wakij Ahmed, braccio destro del mullah, incontrò Clinton il 28.11 e il 18.12 ’98. Offrì di indicare il nascondiglio di Bin Laden in cambio della fine dei bombardamenti. Ma Clinton rifiutò. I Talebani poi rifiutarono di far costruire il mega-gasdotto dal Turkmenistan al Pakistan alla compagnia americana Unocal, in cui erano impicciati due fedelissimi del neopresidente Bush jr., Cheney e Rice, oltre al futuro Quisling afghano Karzai. Nel suo bel libro sul mullah, Massimo Fini racconta anche la trattativa sull’oppio: nel 2000 il mullah bloccò la coltivazione di papavero, facendo schizzare il prezzo dell’oppio e rovinando gli affari del narcotraffico mondiale. Meno di un anno dopo partì l’attacco e la produzione dell’oppio ricominciò.
L’attacco alle Twin Towers fu un puro pretesto. Non c’era un solo afghano fra gli attentatori né nelle cellule di Al Qaeda. Solo sauditi, egiziani, giordani, tunisini, algerini, marocchini, yemeniti. Non afghani o iracheni. Infatti furono attaccati Afghanistan e Irak (nel 2003, con la scusa delle armi di distruzione di massa, mai viste, e di un inesistente patto fra Saddam Hussein e Bin Laden, che si erano condannati a morte a vicenda: poi Osama fu ucciso in Pakistan, che nessuno si sognò d’invadere). A Kabul la guerra al terrorismo, costata 3mila miliardi $ solo agli Usa, ha riabilitato i Talebani. A Baghdad ha prodotto l’Isis. Nel febbraio 2003 Gino Strada predisse come sarebbe finita e fu accusato di filo-terrorismo. Francesco Merlo, non ancora passato a deliziare i lettori di Rep, lo additò sul Corriere come un “Signor Né Né”. Gino rispose così: “Signor Merlo, ho l’impressione che il partito della guerra del petrolio non passi un gran momento… Gli amici dell’‘amico George’ imbavagliano l’informazione in modo da renderla indistinguibile dalla propaganda – ne sa qualcosa, Signor Merlo? – eppure la gente non li ascolta. Rendono i telegiornali molto simili al Carosello, eppure le persone continuano a pensare, a porsi domande… Ho la sensazione che non filerà via liscia, che i cittadini si siano stancati di fare da telespettatori, che i padroni delle testate debbano rassegnarsi a non essere anche padroni delle teste…”. Oggi l’Afghanistan torna a vent’anni fa. Invece la stampa italiana non s’è mai mossa.
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