mercoledì 18 agosto 2021

6,6 miliardi di motivi dollarosi

 Ci affanniamo a decifrare quello che sta accadendo in Afghanistan, soloni a bizzeffe danno la loro versione (dietro lauto gettone di presenza). 

Eppure a me, che non sono né erudito, né politologo, né ospite blaterante in quelle trasmissioni farraginose infarcite di minzolini e biondone vocianti, appare di una cristallinità inaudita, soprattutto per i 6,6 miliardi di dollari che il papavero afgano genera, nelle tasche di ribaldi siano essi talebani, mafiosi, colletti bianchi o politici.

Lo ripeto: un giro di sei miliardi e mezzo di denaro annuale, non può non finire in tasca di altolocati. Impossibile. Non ho prove ma la penso così. 

E per chiarirvi ulteriormente le idee, ecco l'articolo di Roberto Saviano scritto oggi sul Corriere della Sera. 

Fatevi un'opinione vostra. In libertà assoluta, come è il dna di questo blog! 

Quei miliziani dell’eroina tra miliardi e geopolitica

di Roberto Saviano

Non ha vinto l’islamismo, in queste ore, dopo oltre vent’anni di guerra. Ha vinto l’eroina. Errore è chiamarli miliziani islamisti: i talebani sono narcotrafficanti. Se si leggono i report dell’Unodc, l’ufficio droghe e crimine dell’Onu, da almeno vent’anni troverete sempre lo stesso dato: oltre il 90% dell’eroina mondiale è prodotta in Afghanistan. Questo significa che i talebani, assieme ai narcos sudamericani, sono i narcotrafficanti più potenti del mondo.

Negli ultimi dieci anni hanno iniziato ad avere un ruolo importantissimo anche per l’hashish e la marijuana.

Dietro il conflitto

Se si cercano le dinamiche principali del conflitto, le fonti prime che lo finanziano, si arriva lì: quella in Afghanistan è una guerra dell’oppio. Prima delle scuole coraniche, dell’obbligo al burqa, prima delle spose bambine, prima di ogni altra cosa, i talebani sono narcotrafficanti. Nel 2001 finsero di proibire la coltivazione di oppio e a questo si lega uno dei più gravi errori dell’amministrazione americana: nel 2002 il generale Franks, il primo a coordinare l’invasione in Afghanistan delle truppe di terra Usa, dichiarò: «Non siamo una task force antidroga. Questa non è la nostra missione». Il messaggio era rivolto ai signori dell’oppio, li si invitava a non stare con i talebani dicendo loro che gli Stati Uniti avrebbero permesso la coltivazione. Lo stesso James Risen, nel 2009, segnalò sul New York Times che nella lista nera del Pentagono dei trafficanti di eroina da arrestare non veniva inserito chi si era schierato a favore delle truppe Usa.


Non funzionò. I contrabbandieri d’oppio hanno bisogno di movimenti rapidi e veloci e invece con la presenza americana si vedono fermare, ispezionare, devono farsi autorizzare dai militari. Mentre i talebani riescono a ottenere rapidità di approvvigionamento e movimento e iniziano a tassare il doppio i produttori che non lavorano per loro e a coltivare direttamente le proprie piantagioni. Non più racket sulla coltivazione, dunque, ma diretta gestione del traffico... Avevano già iniziato a farlo i mujaheddin, sostenuti dall’Occidente nella guerra contro i sovietici. Il Mullah Akhundzada, appena l’Armata Rossa nel 1989 si ritirò, capì che bisognava smettere di prendere il 10% come pizzo dai trafficanti di eroina e iniziare a tenere in mano il traffico. Impose che la valle di Helmand fosse coltivata a oppio: chiunque si fosse opposto continuando a coltivare melograni o frumento prendendo sovvenzioni statali sarebbe stato evirato. Il risultato fu la produzione di 250 tonnellate di eroina. Akhundzada, oggi indicato come il maggiore leader talebano, è uno dei trafficanti più importanti al mondo. E i dirigenti talebani che scalano le gerarchie interne sono sempre di più i trafficanti rispetto ai capi militari e religiosi.

Le rotte

L’eroina talebana rifornisce camorra, ’ndrangheta e Cosa nostra, i cartelli russi, la mafia americana e tutte le organizzazioni di distribuzione negli Usa a eccezione dei messicani che cercano di rendersi autonomi dall’oppio afgano (a fatica, perché l’eroina di Sinaloa è più costosa di quella afgana). Tramite la rotta Afghanistan-PakistanMombasa i talebani riforniscono i cartelli di Johannesburg in Sudafrica. E ancora, la vendono ad Hamas: altra organizzazione che si finanzia (anche) con hashish ed eroina e che infatti ha comunicato: «Ci congratuliamo con il popolo islamico afghano per la sconfitta dell’occupazione americana su tutto il territorio dell’Afghanistan e con i talebani e la loro leadership per la vittoria che giunge al culmine di una lunga battaglia durata 20 anni». Apparentemente un’alleanza politico-ideologica, in realtà un patto criminale.

Poi c’è l’Oriente. L’eroina talebana ha creato un’asse importantissimo con la mafia di Mumbai, la D Company di Dawood Ibrahim, sovrano dei narcos indiani protetto da Dubai e dal Pakistan e vero distributore dell’oro afgano. Il mercato cinese ancora non è conquistato ma le mire talebane guardano a Est, a prendersi Giappone (la Yakuza si rifornisce in Laos, Vietnam e Birmania) e Filippine, che hanno un mercato florido e da sempre sono in rotta con l’eroina birmana. Quest’ultima, come l’eroina cinese, è gestita dai militari e quindi può contare su una produzione veloce e efficiente che spesso i cartelli, costretti alle tangenti e alle mediazioni, non riescono a eguagliare.

Lo scenario

Il massimo storico stimato per la produzione di oppio in Afghanistan è stato raggiunto nel 2017, con 9.900 tonnellate, per un valore di circa 1,4 miliardi di dollari ma, come riferisce l’Unodc, se si tiene conto del valore di tutte le droghe —hashish, marijuana — l’economia illecita complessiva del Paese, quell’anno, sale a 6,6 miliardi. Gretchen Peters, la reporter che ha seguito il legame tra eroina e talebani, osserva nel suo libro Semi di terrore: «Il più grande fallimento nella guerra al terrorismo non è che Al-Qaida si stia riorganizzando nelle aree tribali del Pakistan e probabilmente pianifichi nuovi attacchi all’Occidente. Piuttosto, è la spettacolare incapacità delle forze dell’ordine occidentali di interrompere il flusso di denaro che tiene a galla le loro reti». Così i talebani hanno cambiato lo scacchiere internazionale. Cosa nostra e i marsigliesi, dagli Anni 60 al Duemila, importavano l’eroina dal sud-est asiatico; il monopolio dell’oppio era in Indocina, nel triangolo d’oro Birmania-Laos-Thailandia. Ora i talebani hanno preso il loro posto, lasciando al sudest asiatico una fetta di mercato residuale, dall’1% al 4%.

È paradossale: gli Stati Uniti combattevano investendo miliardi di dollari — spenderanno 8 miliardi (fonte Reuters) solo per sradicare le piantagioni di papavero — contro una guerriglia che si finanziava vendendo eroina proprio ai loro cittadini. E ai nostri: il primo e il secondo mercato di eroina in Europa sono Regno Unito e Italia. Eppure i governi occidentali ignorano il dibattito sulle droghe. Non solo: l’anno scorso, mentre la pandemia di Covid-19 infuriava, la coltivazione del papavero è aumentata del 37% (fonte Unodc). E i talebani non vendono solo ai cartelli: senza oppio non si possono realizzare farmaci analgesici; senza oppio niente morfina né fentanil. Ora, le case farmaceutiche comprano oppio da produttori autorizzati, ma questi sempre più spesso acquistano da società indiane che si approvvigionano dall’Afghanistan. I talebani decidono anche delle nostre anestesie e dei nostri psicofarmaci.

Nel 2005, l’allora presidente Karzai aveva sentenziato: «O l’Afghanistan distrugge l’oppio, o l’oppio distruggerà l’Afghanistan». È andata esattamente come prevedeva la seconda ipotesi. Ma Karzai stesso era uno dei signori dell’oppio e gran parte dei suoi proclami erano di facciata. L’ex presidente è stato tra i maggiori proprietari di raffinerie di droga e in realtà, stava dicendo: «Distruggeremo l’oppio gestito dai talebani e terremo il nostro». Dal monopolio di questo stupefacente non è possibile prescindere, hanno solo vinto i trafficanti migliori. Con un cambio di rotta rispetto al passato: la droga, fino a vent’anni fa, i talebani la vendevano solo fuori dai confini nazionali, ora vendono anche all’interno. La tossicodipendenza in Afghanistan è un’epidemia che nessuno ha preso in considerazione e cresce di anno in anno. I talebani ne approfittano: le giovani reclute sono riempite di hashish e hanno la possibilità di accedere all’eroina: entra nei nostri gruppi e potrai farti è il «non detto» dei reclutatori. E l’Afghanistan si è trasformato in un narcostato.

Guardando l’esercito americano, i suoi blindati e i suoi elicotteri, vi sarà sembrato un’armata ricchissima contro pastori dalle barbe lunghe e dai coltelli arrugginiti. Ebbene, gli Stati Uniti hanno speso 80 miliardi in vent’anni di guerra per addestrare un esercito afghano, creare ufficiali, truppe, poliziotti e giudici locali; i talebani, in vent’anni, hanno guadagnato oltre 120 miliardi dall’oppio. Quale era l’esercito più ricco?

In ogni caso i talebani vincitori non avranno pace; i loro prossimi nemici saranno gli iraniani. L’Iran ha bisogno di eroina come di benzina, e quella consumata a Teheran viene tutta dall’Afghanistan. I trafficanti iraniani vogliono poterla controllare direttamente, prendere il posto di turchi, libanesi e kurdi, che oggi sono i mediatori con l’Europa. Vogliono espandersi e non avere solo Hezbollah come strumento del traffico di hashish ed eroina, vogliono controllare l’oppio afgano e presto i talebani saranno nemici da sconfiggere. Ma questa è un’altra storia. Però con chi mi sta leggendo vorrei fare un patto, chiamiamo i talebani con il loro nome: narcotrafficanti.

 

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