Dovessero studiare le metamorfosi filosofiche insinuantesi dentro ad un ribelle venuto a contatto col bisso e gli agii della casta di lor ribaldi, non potrebbero che analizzare lui, l’oramai impomiciato Bibitaro, che si muove nei meandri del losco con tatticismo e borotalco migliore che Al Tappone dentro ad un bordello. Blaterante negli anni passati di stravolgimenti essenziali per resuscitare una pseudo democrazia come la nostra, si è via via trasformato in un esemplare Boiardo simil politico, con quella sfacciataggine forlaniana che gli permette di adeguarsi ai tempi e alle necessità di sopravvivenza simbolo del regno degli approfittatori, che allocchi scafati perseverano a definire politica. Luigino smussa, affievola, finge d’ascoltare, si auto modifica, muta il dna, batuffola, chiagne, miagola solo ed esclusivamente per non dover alzarsi dalla dorata poltrona. Al suo confronto il Dibba delle Ande è un “Che de noantri” L’affetto incondizionato per il Dragone delle Banche, è quanto di più smielato si possa concepire su questa sfera ricordante gli anni dell’era del Puttanesimo, allorché cardinali, gnomi, schiavi e pusillanimi adorarono il "tangentista della mafia" e le sue "sagge, filosofiche, rispettose, e mai misogine, cene eleganti".
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