Il miglior attacco è piangere: la Bestia ora fa la vittima
Strategie mediatiche - Matteo & Giorgia double face
di Selvaggia Lucarelli
Vi ricordate la destra cattiva, quella delle ruspe, delle minorenni sbattute sulla pagina fb, della Meloni che urla indemoniata, delle foto segnaletiche dei nemici, dei migranti fotografati sulle panchine, delle liti con direttori di musei egizi, dei rom da censire e delle bambole gonfiabili? Tutto finito. Non ci sono più i cattivi di una volta. Giorgia Meloni e Matteo Salvini negli ultimi mesi hanno invertito la rotta della loro comunicazione: la Bestia è stata narcotizzata come una tigre malata, l’immagine della Meloni è in fase greenwashing, ovvero grandi sforzi reputazionali per dare l’idea di una destra sostenibile, apparentemente più umana ed empatica.
Ed è così che l’operazione da “cattivisti” a “nuovi martiri” ci sta regalando delle perle sorprendenti. Perle che mirano, in sostanza, a invertire la narrazione ricorrente e a proporne una inedita: la destra è quella che subisce l’odio, la sinistra è la fabbrica dell’odio.
Partiamo dalla Meloni. Da qualche tempo, gli insulti che le vengono rivolti, anche se pronunciati da personaggi certo non di spicco e tramite canali locali, sono strategicamente amplificati da tutti i canali social delle stessa e di Fratelli d’Italia, con sollecitazioni intimidatorie alla sinistra perché esprima “solidarietà” (“Se insultano la Meloni i sinistroidi tutti zitti eh?”). Naturalmente, a Fratelli d’Italia, della solidarietà di Zingaretti o dei partigiani frega meno di zero, quello che conta è cosa rappresenta per la destra quella solidarietà virale, ovvero il coming out tanto agognato, l’ammissione tanto desiderata: “Noi di sinistra siamo odiatori”. Che tradotto è: la Meloni è la nuova Boldrini. Una narrazione che ad acrobazie potrebbe gareggiare con i primi skateborder al mondo, ma siccome la sinistra è tonta e crede che la superiorità morale, anche di fronte al bluff dell’avversario, paghi, ci casca con tutte le scarpe. E non solo: da un po’ va avanti l’improbabile litania “la Meloni è vittima di sessismo”, come se non fosse il leader di un partito che propone un modello di famiglia tradizionale, di maternità tradizionale, di genitorialità tradizionale, in cui la donna è imprigionata in uno schema vetusto e anti-femminista. Come se non fosse lì con lo scopo conservativo di un modello femminile reazionario, tra l’altro giocando proprio sulla forza ambigua di essere una donna e come tale un leader a cui difficilmente si può imputare di non essere dalla parte delle donne.
Tempo fa è bastato che scrivessi che la Meloni aveva un ombretto anni 80 per essere investita da uno shitstorm organizzato dai sostenitori del suo partito a colpi di “sessista” e bodyshaming! L’evidente assurdità delle accuse (da quando gli ombretti anni 80 sono un elemento insultante?) ha reso evidente uno degli innumerevoli tentativi di dipingere la Meloni come oppressa e perseguitata dalla sinistra manganellatrice.
Il suo ultimo libro Io sono Giorgia ne è un altro esempio sfolgorante. Accompagnato da una promozione emozionale con lacrime dalla Toffanin e titoli sui giornali su sue paure, sul padre anaffettivo, sulle cattiverie degli hater, sul bullismo patito e su tragedie assortite, ha un incipit che è lo svelamento perfetto dell’operazione: sua madre era incinta di lei, voleva abortire perché in crisi col compagno, va a fare le analisi pre-operazione, lì ci ripensa e dice: “No, mia figlia avrà una sorella!”. Una narrazione epica. Giorgia che nasce da uno slancio femminista che sa di coraggio, eroismo e riscatto. Un futuro segnato. Una predestinata. Come la Madonna. Come Harry Potter. Peccato che nel 1976, quando Giorgia è stata concepita, l’aborto non terapeutico fosse illegale, che le analisi in laboratorio fossero un sogno visto che si abortiva clandestinamente e che “mia figlia avrà una sorella” era una certezza che doveva derivare al massimo dall’esito di un giro di Tarocchi, perché il sesso del nascituro si conosce tra il quarto e il quinto mese di gestazione (e l’aborto si fa entro i primi tre). Per non parlare del passaggio del libro sul povero Willy che a Colleferro sarebbe stato pestato a sangue da gente che ha il culto di Gomorra e altri miti cari ai comunisti col Rolex. Insomma, Willy è stato ammazzato da Fedez e Saviano. Dalla sinistra, dai cattivi.
E qui arriviamo a Salvini. Salvini che dopo aver trascorso un’esistenza a far riempire di insulti dai suoi seguaci avversarie politiche e ragazzine minorenni, ora è tutto un fiorire di “le donne non si toccano”, “facciamo educazione digitale nelle scuole” (speriamo si sieda al primo banco), “le donne sono migliori di noi”. Ancora un po’ e annuncia di aver intrapreso il percorso di transizione. Per non parlare della sua reazione quando un avversario gli lancia il guanto di sfida: prima ci sarebbe passato sopra con la ruspa, ora lo restituisce lavato e improfumato, proponendo “andiamo a prenderci un caffè” a tutti e la chiusa “pace e bene”. Almeno s’è capito perché vuole l’abolizione del coprifuoco: quando finisce di pagare i caffè a tutti, s’è fatta l’alba. E poi pubblica gli insulti che riceve, dimenticando di buttare un occhio su quello che succede tra i commenti sulla sua pagina, da qualche anno a questa parte. Due giorni fa, addirittura, individuava gli odiatori sul web “nei ragazzini di 14, 15, 16 anni delle cosiddette prime e seconde generazioni di quelle integrate”. Insomma, è finita che i cattivi sono sinistroidi e minorenni. Salvini e la Meloni sono missionari comboniani del cuore di Gesù. E con la Bestia lasciata momentaneamente in giardino a mangiare croccantini, in parecchi ci stanno perfino credendo. Sveglia.
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