Un nome già assegnato
di Michele Serra
A Bruxelles si discute di vino de-alcolizzato o del tutto analcolico, cioè di una bevanda che potrebbe continuare legalmente a chiamarsi vino pur non essendolo più. Al di là di ogni lecito argomento sanitario, commerciale, agroindustriale, notizie come questa diffondono nell’aria uno dei profumi più inconfondibili della nostra epoca: e non è profumo di vino. È profumo di niente.
Il vino è, da quattro o cinquemila anni, una bevanda alcolica, perché la fermentazione della frutta, che è piena di zuccheri, genera alcol. Se uno non vuole ubriacarsi, beve acqua. Oppure beve poco vino. Si ha facoltà di rinuncia. Si ha l’arma della sobrietà e della misura. Ma rinuncia, sobrietà, misura non sono virtù compatibili con la società dei consumi, che si regge sull’ingordigia, e sull’amore per le grandi quantità. Ecco l’idea, a suo modo geniale, del vino senza alcol: gli levi l’anima ma lo chiami con lo stesso nome, così si possono tracannare due bottiglie senza stramazzare, si può mettere il guinzaglio a Dioniso, si può fingere che il convivio non consumi il fegato, che la vita non abbia mai un prezzo da pagare, a parte il prezzo di listino dei vari prodotti. Tutto dev’essere per tutti, via gli spigoli, le asperità, i pericoli, le conseguenze non sempre salubri del piacere.
Bere vino senza rischiare di ubriacarsi è tal quale salire in montagna senza faticare, viaggiare senza spaesarsi, mangiare senza appesantirsi: è il mito contemporaneo della vita light, a rischio zero, basta pagare un modico biglietto di ingresso. Liberissimo, chi lo desidera, di produrre una bevanda analcolica a base d’uva. Ma non la chiami vino, quel nome è già assegnato.
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