mercoledì 14 aprile 2021

Verità Robecchi

 

Dittatori “utili”. Il filo sottile che separa la ragion di Stato dalla faccia come il c.
di Alessandro Robecchi
C’è un filo sottile, sottilissimo, praticamente invisibile che separa la Realpolitik dall’ipocrisia, la pratica dai proclami, la ragion di Stato dalla faccia come il culo. Era inevitabile pensarlo vedendo salpare la fregata multiruolo Fremm, nave da guerra partita in sordina, senza la banda, senza cerimonie, su l’ancora e via. Destinazione al-Sisi, cioè l’Egitto, cioè il posto dove è stato ammazzato Giulio Regeni, dove viene tenuto ostaggio Patrick Zaki, e dove i diritti umani contano come il due di coppe quando la briscola è picche.
Sì, c’è una beffarda aporia tra le piazze italiane in cui campeggiano gli striscioni gialli che chiedono “verità e giustizia” per un nostro cittadino torturato e ucciso al Cairo e le poderose forniture militari al regime che l’ha ammazzato. Due fregate vendute per 990 milioni, inizialmente destinate alla nostra Marina, a cui tra parentesi erano costate di più (1,2 miliardi). La scia bianca sulle onde ci dice una cosa: di qui le belle parole e di là i fatti. Istruzioni per l’uso (non delle fregate da guerra, ma dell’ipocrisia): allargare le braccia, scuotere la testa e dire “Che ci vuoi fare, è la Realpolitik”. Bella roba, eh!
Non solo l’Egitto, ovviamente. La recente frase di Mario Draghi su Erdogan, dittatore che però “ci serve”, chiarisce senza mezzi termini il problema, anche con la Turchia si fa la stessa cerimonia: occhi al cielo, braccia allargate in un gesto di cauta impotenza, e oplà, il venti per cento delle nostre esportazioni di armi finisce nelle mani del dittatore cattivo che però “ci fa comodo”. Che ci sia mezza Turchia in galera, tra intellettuali, oppositori vari, docenti universitari, scrittori, non deve fare velo sulle convenienze, scegliete voi se vale più la vita di qualche decina di migliaia di oppositori o il fatturato. Dài, non c’è partita, come ci insegnano alcuni geni del commercio: se non gliele vendiamo noi, le armi, gliele vende qualcun altro, e allora tanto vale… In più, paghiamo profumatamente il “dittatore utile” perché fermi qualche milione di migranti.
La sconsolata confessione del presidente del Consiglio, quel “che ci volete fare” un po’ fatalista e un po’ furbetto sui dittatori che ci circondano e che riempiamo di armamenti sofisticati, ha poi assunto toni grotteschi con la visita in Libia e i ringraziamenti al nostro dirimpettaio mediterraneo per come “salva” i migranti. Cioè per come cattura quelli che riescono a scappare per riportarli nel lager, per rivenderli tra tribù e trafficanti, il tutto (sta diventando un classico) con motovedette gentilmente donate da noi.
Non che si possa incolpare solo il governo Draghi: che le tribù libiche e i signori della guerra del deserto nordafricano fossero buoni partner lo si vide già con il ministro Minniti, quando si spiavano i giornalisti in prima linea sul fronte dell’immigrazione, con il ministro Salvini che sequestrava poveracci in mare aperto, e ora, quando si va dire “grazie, bravi!” ai rastrellatori di profughi.
Chissà se è vero che tre indizi fanno una prova, ma in ogni caso restano tre indizi: tre regimi piuttosto impresentabili e feroci che fanno allegramente affari armatissimi con l’Italia. Grazie a noi, insomma, tre regimi piuttosto feroci diventano più forti, più armati, più muscolosi, più arroganti e in definitiva più pericolosi per tutti. Resterà il dubbio, quando ci troveremo circondati da dittature ostili armate fino ai denti (manca poco), su chi premiare con il Nobel alla lungimiranza: i candidati italiani saranno numerosi.

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