Tra Checco Zalone e Borges
di Michele Serra
C’è un signore di Catanzaro che ha preso per quindici anni uno stipendio da dipendente pubblico (presso il Centro Operativo Emergenza Incendi dell’Ospedale Ciaccio, tutto maiuscolo) senza presentarsi un solo giorno al lavoro. In quindici anni, non un solo giorno: insomma, la perfezione.
Così almeno documentano le indagini della Guardia di Finanza, sguinzagliata dalla Procura di Nicola Gratteri (un grande italiano, ma non è questa la sede per dirlo).
Come si può capire, questo non è un normale caso di assenteismo.
È un capolavoro. È un racconto di Borges.
È un caso di renitenza al dovere talmente assoluto da sfuggire a ogni analisi sociale o politica. Non è nemmeno fancazzismo, perché il fancazzismo è mediocre, ordinario, alla portata di tutti, e comprende tutte quelle affannose pratiche che il lessico mediatico accorpa nella categoria dei "furbetti", quello che fa timbrare il cartellino al cognato, quello che ha mal di denti o mal di testa un centinaio di giorni all’anno, quello che si imbosca a fumare sul terrazzino per le due-tre ore necessarie, quello che rifiuta il trasferimento a tre chilometri da casa di mammà.
Qui no. Qui è l’assoluto. Qui è il Mai, è il Niente, è il No che echeggia tra le galassie. È Checco Zalone sceneggiato — ripeto — da Borges. Come si usa dire, la giustizia farà il suo corso. Ma devo confessare che il mio totale disinteresse per il mondo del crimine in questo caso vacilla: di questo signore mi piacerebbe sapere qualcosa in più. Per esempio, nel caso abbia famiglia, che lavoro diceva di fare, alla moglie e ai figli, quando usciva di casa?
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