Elon, vai piano e pensa a noi
di Michele Serra
Ognuno di noi è portatore di sentimenti riprovevoli. (Se così non fosse saremmo perfetti, e la perfezione è noiosa). Tra i miei sentimenti riprovevoli c’è la scomposta ilarità con la quale accolgo il rapido precipitare, inabissarsi, disintegrarsi, collassare dei razzi che Elon Musk lancia nello spazio con l’idea di colonizzare al più presto Marte, impresa che in rapporto al suo patrimonio è come per noi fare un week-end a Igea Marina.
Due giorni fa è andato in fumo il quarto missile della missione SpaceX, che per adesso, in attesa di percorrere con disinvoltura il sistema solare, ha una gittata di poche centinaia di metri: dunque, non arriverebbe nemmeno a Igea Marina. Capisco perfettamente l’ammirazione che molti nutrono per questo magnate lungimirante, pioniere dell’intelligenza artificiale, filantropo, presto anche dominatore delle Galassie. Ma l’istinto del pernacchio napoletano, di fronte ai costosi cocci che rotolano nella polvere, è irreprimibile.
Volendo si potrebbe anche tirare in ballo, come giustificazione etica del pernacchio, la critica della megalomania, che è uno dei vettori che manda in orbita lo spirito comico. Ma meno politicamente, più infantilmente, fa parte dei classici della comicità ogni partiam partiam che inciampa al primo passo. Avete presente Laurel & Hardy (benefattori dell’umanità anche prima dell’intelligenza artificiale) che salgono in macchina per andare in gita e salutano i vicini di casa — arrivederci! arrivederci! — e la macchina non parte? Una, due, tre, quattro volte? E l’arrivederci è ogni volta più pomposo, e più vano? Ecco. Esattamente questa è la gag “Elon parte per Marte”.
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