Non ricordo di averne già parlato, ma quasi ogni mattina incontro quel giovane maturo dalla postura inequivocabile, l'andatura col baricentro spostato all'indietro, lo sguardo stanco, stufo probabilmente di vivere per quella malattia oscura attanagliante il cervello che induce a benedire il Cielo per non averla in noi, ma non si sa mai in futuro visto che la depressione è bastarda e sempre pronta ad attanagliare nuove vite. Sul far del mattino mi passa davanti ciondolante, il ventre molle, gli stessi jeans, come identici al giorno prima sono il giubbotto scolorito in un flebile blu, la maglia di flanella grigia e slavata evidenziante la flaccidità dovute alle probabili ore scialacquate non per volontà sua, ma per la codardia insufflata dal subdolo male che probabilmente lo abbraccia da tempo immemore. Entra dal tabacchino e compra cinque, sei pacchetti di sigarette, e il giorno dopo, come oggi, ritorna a far incetta di danno polmonare, senza tregua, senza vitalità.
Vorrei tanto poterlo affiancare lungo il suo doloroso cammino, carpirne le sensazioni, le speranze, i traguardi, probabilmente annacquati dai farmaci, ma il suo andare per il micro mondo, lo sguardo costantemente rivolto verso gli abissi me lo impedisce, ammetto anche per quella vaga idea di menefreghismo tipica del tempo attuale e di cui molti, me compreso, ne sono portatori inconsapevoli.
Mentre sono al lavoro ogni tanto penso al suo trascorrere del tempo, sempre uguale, sempre nemico, totalmente immerso nella negatività del suo Io.
Quante persone attorno a noi vivono affogati nella battaglia in cervice, storditi dai medicamenti che, nella fattispecie, rendono misteriosamente grandi e luminari chi li prescrive, impotenti come sono dinnanzi al mistero obnubilante coscienze tenute dormienti per non arrecare danno a sé e agli altri!
Quello bravo, nel contesto, è uno scribacchino di sempre più letali farmaci, e non per colpa atavica, bensì per impotenza scientifica.
Ed ogni mattina il passaggio di questo giovane maturo mi induce a riflettere sul dannato che è tra noi, nel nostro club oramai esclusivo, minimizzante altrui problemi, tralasciante per strade assolate chi, non per propria volontà, melanconicamente ha perso il treno della socialità. Che difficilmente ripasserà.
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