Non è mai capitato che comprendessi appieno, in un lampo, le
sottigliezze insufflatemi dai tanti vati gorgheggianti che quest’epoca, solo in
apparenza muta e fredda per le continue ed imperterrite inchinate sugli smart,
propina costantemente, avendo oramai idealizzato quanto gli Speakers’ Corner debbano
essere spalmati ovunque in questo amaro cortile sociale.
Volendo persistere in questo, probabilmente di default non sono un razzo né roseo assaggiatore del vocalismo altrui, a volte veri e propri cicalecci o, se v'aggrada, barriti insalubri.
Già l’ascolto! Potrebbe essere un pregio saper ruminare su teorie di simili, sforzantisi in cervice per comunicare quanto d’importante preme loro trasmettere. Ma non lo è.
Esprimere
un concetto, un dilemma, una confessione, un prurito di spirito, oggi come oggi
non è né un’arte, né una necessità. Chi parla, frequentemente vorrebbe emergere,
dipanare la matassa di sé stesso, convincerti della bontà del suo eloquio, percepire
la svolta filosofica abbracciante i suoi postulati.
Un discorso che potrei ritenere interessante deve necessariamente
confarsi attraverso i seguenti riferimenti gutturali:
·
Nessuna frase del tipo “dicono” – “uno scrittore
di cui non ricordo il nome” – “un mio amico mi ha detto che.”
·
Nessun riferimento astratto, né un ragionamento
troncato a metà con rapido ed improvviso trasporto su altre tematiche.
·
Preparazione al fulcro del messaggio attraverso
una breve panoramica introduttiva – nocciolo del discorso – ascolto assorto di ciò che esporrò in risposta – chiusura con raggiungimento di una
limatura del concetto primordiale, possibilmente grazie alle mie considerazioni esposte.
Così facendo lo scambio interpersonale si realizza, la
socialità deborda, la verità si fa prossima.
Per altre strade e storie, sono costretto ad accendere le
validissime armi di difesa di cui mi pregio di essere portatore egregio, che mi
permettano di eludere il vanesio, la gotta espositiva, il labile confine tra vanagloria e partecipazione.
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