Renzi “Messaggero” d’Arabia e apostolo della democrazia
di Daniela Ranieri
Di regola, in democrazia un politico non si può intervistare da solo, perché si farebbe le domande che vuole, nel linguaggio che più gli conviene, mettendo in atto le strategie retoriche necessarie a nascondere le proprie pecche e a dare di sé un ritratto migliore. Ma nel caso del soggetto in questione, intervistarsi da sé o essere intervistato da un giornalista sortisce esattamente lo stesso risultato. Qualità precipua di Renzi è infatti ribaltare la realtà: nei rari casi in cui qualcuno gli chiede conto di qualcosa di scabroso che lo riguarda, gli basta rispondere la cosa più assurda, insensata e manipolatoria possibile per neutralizzare qualsiasi domanda.
Il cronista del Messaggero (che lo chiama presidente, chissà di che) gli chiede dei suoi rapporti col principe saudita Mohammed bin Salman: “Il portavoce di Amnesty Italia la accusa di ‘fare un cattivo servizio ai diritti umani’. Cosa risponde?”. Facile: Renzi, immune dall’imbarazzo, dalla coscienza del proprio ruolo e in definitiva dal decoro personale, risponde che si reca in Arabia Saudita, dove siede in un board collegato alla famiglia reale in cambio di 80 mila euro l’anno, per aiutare il regime a “scegliere la strada delle riforme incoraggiando la difesa dei diritti umani”. Come mai non ci abbiamo pensato prima? Basta guardare il video della chiacchierata tra Renzi e il principe che la Cia e l’Onu ritengono un assassino segaossa: c’è da scommettere che bin Salman, chiamato con deferenza “Vostra Altezza” e “amico mio”, mentre sorride davanti a questo buffo personaggio azzerbinato che in uno stravagante inglese si vende la storia di Firenze cianciando di Rinascimento dietro compenso, sta pensando alle riforme da avviare. Cosa non si fa, per esportare la democrazia. Del resto, il giorno prima aveva rimproverato alcuni cronisti fuori dal Senato perché non si occupano del tema dei “big data dell’Arabia Saudita” e stanno dietro ai presunti omicidi dei dissidenti. A una cronista troppo informata ha detto di “fidarsi più di Biden che di lei”; il quale Biden riterrebbe il principe innocente perché non l’ha sanzionato. Qui la manipolazione è massima: Renzi, sull’orlo della crisi nervosa, sposta l’attenzione da sé alla cronista (che ha citato un rapporto dell’intelligence di Biden); porta un argomento fallace (mancanza di sanzioni Usa = assoluzione del principe saudita) a sostegno dell’opportunità della sua prestazione a gettone; infine, gioca con le parole: “Io chiamo my friend una persona che conosco da anni e che è un mio amico” (dev’essere un perfezionamento del metodo delle querele contro i giornalisti). Se è un suo amico, perché va dicendo che vola a Riyad per motivi geopolitici? E se ci va per motivi geopolitici, perché si fa pagare? Perché, dice il membro della Commissione esteri e senatore della Repubblica col 41% delle presenze ma il 100% dello stipendio, recarsi su un jet privato ad adulare uno spietato autocrate che si finge moderno per dare una ripulita d’immagine al regime che tortura e crocifigge i dissidenti è l’impegno di chi fa politica: “Chi fa politica deve coltivare relazioni perché i leader dei Paesi non ancora democratici incoraggino e valorizzino i diritti. Io nel mio piccolo lavoro in questa direzione”. Ecco cos’è, Renzi: una specie di apostolo della democrazia, un ambasciatore dei diritti umani presso le petromonarchie che non li rispettano. A saperlo prima, Jamal Khashoggi, entrato nel consolato saudita di Istanbul con le sue gambe e uscitone a pezzi (non tutti: alcuni sono stati ritrovati in giardino), avrebbe fatto meglio a incensare il “nuovo Rinascimento” del principe dietro lauto compenso, invece di scribacchiare di diritti umani sul Washington Post.
(Ps: sullo spessore politico del soggetto in questione il 98% degli italiani non ha dubbi; ma, nel caso, basta leggere nella stessa intervista che la crisi è stata “aperta da Conte” e si spiega tutto).
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