Tutto può succedere
di Marco Travaglio
Nella crisi più demenziale del mondo, càpita che l’analisi più azzeccata la faccia Toninelli: “L’alternativa a Conte è un gran casino”. Ora che ha in mano il pallinod ella crisi, Mattarella deve trovare una maggioranza certa (non i famosi 161 senatori, ma almeno 158-159, visto che 4 dei 6 a vita e Bossi non si vedono quasi mai, dunque il plenum effettivo è 316-317). E, per farlo, deve intimare a chiunque incarichi di non porre veti per non precludersi i numeri che gli servono. Siccome poi siamo in piena pandemia e le Regionali in Calabria sono slittate da febbraio ad aprile, fa capire che le elezioni non sono un’opzione: se tutto va bene si può pensare a maggio-giugno, anche perché subito dopo parte il semestre bianco e sino a gennaio non si vota più. Inoltre non esiste una maggioranza per fare un governo, ma neppure per andare al voto. Le elezioni non le vuole nessun gruppo parlamentare, tranne forse quello di Fratelli d’Italia, che in tre anni ha quadruplicato i consensi ed è l’unico a poter garantire la rielezione a tutti i suoi, malgrado il taglio di un terzo dei posti. Oltre alla Meloni, il leader che ha tutto da guadagnare e nulla da perdere dal voto è Conte, forte di una popolarità già alta da due anni e ancora cresciuta dopo l’imboscata renziana.
Anche i 5Stelle, sventolando la bandiera di Conte, potrebbero aspirare a un buon risultato elettorale: ma l’altroieri i gruppi parlamentari hanno bocciato a maggioranza la linea (sacrosanta) del vertice “o Conte o elezioni”, pronti a un Conte-ter con Iv pur di restare dove sono. Poi c’è il Pd, che non è un partito, ma un coacervo di tribù tipo Libia: Zingaretti e i suoi ministri sarebbero ben lieti di andare alle urne, per tenersi stretto Conte, consolidare l’alleanza coi 5Stelle, liberarsi dei renziani di Iv e di quelli interni (i capigruppo Marcucci e Delrio giocano per il rignanese); ma non controllano le altre tribù, disposte a tutto, anche a un governissimo col centrodestra, pur di liberarsi di Conte e del M5S e restare lì altri due anni. Nemmeno Zinga, se fallisse il Conte-ter, potrebbe dire di no a Mattarella se questi chiedesse l’estremo sacrificio di appoggiare un governo istituzionale con i soliti Cottarelli o Cartabia. Perché quello, e non le elezioni, sarebbe lo sbocco di un naufragio del Conte-ter. Se Conte va a casa, i 5Stelle che l’Innominabile aveva miracolosamente ricompattato (Di Battista e Di Maio si riparlano addirittura) perderebbero il loro premier e per giunta finirebbero in mille pezzi. Ma andrebbe in frantumi anche l’alleanza giallorosa: il Pd e forse LeU in maggioranza e il M5S a sparare sugli attuali alleati dall’opposizione, probabilmente insieme alla Meloni e ai duri e puri della Lega.
Cosa resta, per evitare il “casino”? Due opzioni, una auspicabile e l’altra terrificante. Quella auspicabile è la più improbabile: il neonato gruppo “Europeisti” trova abbastanza senatori per sostenere il Conte-ter rendendo ininfluente Iv anche per un solo voto; da Iv si stacca qualche italomorente che non ha condiviso la crisi e finora si è fidato della promessa dell’Innominabile e delle sue quinte colonne pidine (Marcucci, Delrio, Guerini & C.) di una pronta resurrezione al governo come se nulla fosse accaduto; e il Conte-ter guadagna un margine accettabile per restare in piedi e governare. L’opzione terrificante è la più probabile: i centristi non bastano e Iv resta determinante. In quel caso si vedrà se oggi, al Quirinale, Iv porrà il veto su Conte o no. Se lo porrà, magari provocando i 5Stelle con trucchetti da magliari su Patuanelli o Di Maio o Fico, Conte non avrà il reincarico e Mattarella chiamerà qualcun altro per rappattumare i giallorosa; ma con scarse chance, perché i 5Stelle non voterebbero un governo senza il loro premier (a meno che non siano totalmente idioti). Dunque il passo seguente sarebbe il governissimo con chi ci sta. Se invece Renzi non porrà veti, Conte verrà reincaricato, ma col mandato di consultare l’intera maggioranza giallorosa, inclusa Iv, altrimenti non avrebbe più i numeri su cui ha riavuto l’incarico. E lì non vorremmo essere nei panni di Conte che, piuttosto che parlare con l’Innominabile e con la Boschi dopo mesi di insulti, calunnie e ricatti, si convertirebbe alla Lazio.
Avendo detto “mai più con Iv”, potrebbe rifiutare l’incarico per coerenza e ritirarsi in attesa di tempi migliori. Così salverebbe la faccia. Ma perderebbe l’alleanza che con tanta fatica aveva costruito. E si esporrebbe all’accusa di anteporre le questioni personali al bene comune. Oppure Conte, per lealtà istituzionale, spirito di servizio e vocazione masochistica, potrebbe accettare l’incarico e risedersi al tavolo con chi l’ha rovesciato chiamandolo “vulnus per la democrazia”. Magari a patto che nel suo terzo governo non entri chi ha messo in crisi il precedente (l’Innominabile, la Boschi e le due ex ministre). E nella speranza che intanto arrivi qualche centrista a rendere ininfluente Iv. Ma sempre col rischio che il rignanese ricominci coi veti e i ricatti su Mes, affari, giustizia e ributti tutto all’aria in qualche settimana. A questo punto, cari lettori, voi vi aspettereste una conclusione. Che cosa è meglio? Anzi, che cosa è peggio? Scusatemi, ma non so rispondere. L’unica certezza, per ora, è che l’Innominabile è talmente accecato dal suo ego che pensa di aver vinto lui. E non vede che hanno vinto Salvini, Meloni e B.. Sempreché non lavori già per loro.
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