mercoledì 25 novembre 2020

L'Amaca in montagna

 


La montagna che si salva
di Michele Serra
Dire «la montagna» e dire «lo sci» non è la stessa cosa, avverte Reinhold Messner.
Non per caso, dice il contrario esatto di Alberto Tomba. Si può salire nelle valli per fare anche tante altre cose, camminare, riposare, respirare, fare attività fisica con la neve sotto i piedi e il vento in faccia. Andare a piedi, a cavallo, in bicicletta. Godersi lo spazio e il silenzio. In nessun luogo come in montagna è possibile scoprire che il distanziamento non è solo una misura sanitaria, può anche essere la riscoperta di una libertà dimenticata.
Messner ha ragione, e chi ama la montagna lo sa. Dunque il messaggio che arriva in queste ore sulla "distruzione dell’economia alpina" se le piste da sci rimangono chiuse è un messaggio autolesionista. Cattiva pubblicità. Riduce la montagna a una monocoltura invadente e fragile, quella degli impianti di risalita, ignora tutto il resto, che è tantissimo.
L’indimenticabile prete di religione dei miei anni di liceo, don Giovanni Barbareschi, era un valtellinese scolpito nella roccia.
All’Alpe di Motta, nello spartano dormitorio dove organizzava settimane bianche decisamente non vanziniane, tuonava contro «i signorini di città con la giacca a vento firmata» che andavano in montagna senza capirla: ed eravamo ancora negli anni Settanta del secolo scorso. Oggi i signorini di città sono migliorati, se chiudono le piste sanno cosa cercare oltre i milleduecento metri. La montagna ne approfitti, si rivolga a loro come se fossero amici e non clienti, come se fossero Messner e non Tomba, e la stagione invernale sarà quasi salva.

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