sabato 8 agosto 2020

Travaglio


sabato 08/08/2020
Il Comitato tecnico-cazzaro  

di Marco Travaglio

Non capivo perché il governo avesse secretato i verbali del Comitato Tecnico Scientifico sul Covid. Chi non ha nulla da nascondere non ha motivo di imporre il top secret. Poi ho letto i giornali sui primi cinque verbali (più gli stralci di un sesto) desecretati, che confermano solo fatti stranoti ma vengono spacciati per inediti clamorosi e scandalosi, e ho capito: essendo gran parte dell’“informazione” una comunità di recupero per ignoranti, disinformati, venduti, voltagabbana e smemorati, si voleva risparmiare la pubblica gogna a chi in quei mesi tragici si assunse l’onere e la responsabilità di decidere al buio, senza precedenti nella storia. Qui non si tratta di reati, scorrettezze, abusi di potere, scandali, che mai devono essere coperti dal segreto. Ma di scelte politiche adottate e annunciate alla luce del sole su consiglio di un comitato consultivo di scienziati: i tecnici discutevano e poi suggerivano (spesso in disaccordo fra loro e con altri colleghi), il governo discrezionalmente decideva (seguendo i consigli ora in tutto, ora in parte, ora per nulla). Naturalmente nessuno ha la verità in tasca, specie quando deve adottare misure precauzionali su eventi imprevedibili e in divenire: dunque i consigli tecnici e le decisioni politiche possono essere criticati. Purché si indichino le alternative e ci si cali nel contesto in cui i fatti avvenivano, ricordando ciò che si diceva allora. Invece avviene l’opposto.

I giornali e molti politici si concentrano sul verbale del 7 marzo, in cui il Cts chiede “due livelli di misure di contenimento: uno nei territori in cui è maggiore la diffusione del virus (zone gialle nelle aree più colpite del Nord-Ovest-Centro, ndr), l’altro sull’intero territorio nazionale”. E tutti a dire: perché invece il governo chiuse tutta l’Italia? Non conoscono nemmeno la cronologia degli eventi. La stessa notte del 7 Conte firma il Dpcm per la zona rossa in Lombardia e altre 14 province. Ma ormai il contagio dilaga e si teme il peggio al Sud dopo la fuga di massa seguita alle anticipazioni e all’annuncio del Dpcm. E due giorni dopo, il 9, si passa al lockdown di tutta Italia. Ergo, fermo restando che a decidere è il governo, mentre il Cts consiglia, Conte seguì le indicazioni del Cts, ma con più severità: non zone gialle, ma rosse nelle zone più colpite; poi tutta l’Italia arancione, anche per fermare la fuga dalle aree più ristrette a quelle più libere, con esportazione del virus e guai di ordine pubblico. Il Messaggero non era mai contento: a marzo chiedeva chiusure sempre più severe, chiavistelli e lucchetti, dipingeva il lockdown come un “Blocco a metà” e un “compromesso al ribasso che lascia esposto il Paese” (firmato Carlo Nordio).

Ora invece intima al governo di “spiegare in Parlamento le chiusure” e i “danni al Paese” che – secondo i calcoli del suo pappagallo al pallottoliere – ammontano a “100 miliardi” al Centro-Sud (firmato Carlo Nordio). Prima attaccava Conte perché chiudeva troppo poco, ora perché ha chiuso troppo. Il Corriere.it spaccia per novità sconvolgente ciò che disse Conte ai pm di Bergamo: la richiesta del Cts sulle zone rosse ad Alzano e Nembro datata 3 marzo gli giunse il giorno 5. Embè? La cosa non ebbe alcun effetto sulle sue scelte: il premier chiese un approfondimento, che gli arrivò già in serata, quando ormai si preparava a cinturare l’intera Lombardia. Tutti fatti raccontati in varie interviste (la prima al Fatto), ora gabellate da scoop per raccattare qualche clic. Il meglio però lo dà la Lega, che si oppose alla zona rossa in val Seriana. Ancora il 28.2 Salvini strillava: “Aprire, aprire, aprire! Si torni a produrre, a comprare, al sorriso!”. Poi il 9 marzo, avvertito dell’imminente lockdown, s’allineò a Conte fingendo di anticiparlo: “Zona rossa in tutt’Italia, chiudere tutto”. Ora sentite il vice-cazzaro Garavaglia: “Il lockdown voluto dal governo era illegittimo, non c’erano i presupposti per chiudere l’Italia” (come chiedeva pure Salvini).

La stampa cazzara va a rimorchio, con effetti irresistibili. Il Giornale era contro le chiusure, parziali e totali: “Isolato Conte. Il Nord riparte. Riaprono musei e duomo”, “Bisogna velocemente tornare alla piena normalità, unica ricetta per sconfiggere paure irrazionali e falsi allarmismi” (Sallusti, 28.2); “Fate presto. L’ira degli imprenditori”, “Pensare di salvare lo Stato e lasciar morire l’economia è pura utopia. Semmai è vero l’inverso. Salviamo a ogni costo commercio e impresa e lo Stato si salverà” (Sallusti, 2.3); “Sanno solo chiudere” (5.3). Ora farfuglia di “Virus, bugie e silenzi” e mena scandalo per la mancata zona rossa ad Alzano, che il Giornale non voleva. Poi c’è Libero, che è l’inserto umoristico del Giornale. Allora titolava: “Virus, ora si esagera. Diamoci tutti una calmata. I pochi deceduti erano soggetti debilitati, gli altri contagiati guariscono in fretta. Non ha senso penalizzare ogni attività” (27.2); “La normalità è vicina”, “Il virus ci ha stufati: si torni a vivere”, “È un pirla di virus qualsiasi” (Farina, 28.2). “Reclusione continua. Il virus è una condanna”, “Ma quale crisi? Facciamo finta che sia Ferragosto” (Feltri, 1.3). “Lasciateci lavorare. Dopo i veneti, i lombardi scendono in piazza per essere liberati da alcune restrizioni. Confindustria e sindacati chiedono a Conte di riprendere l’attività” (2.3). Oggi titola: “Sul Covid il governo non ci ha capito nulla”. Il governo. Come no.

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