lunedì 3 agosto 2020

L’elogio


ROBERTO ESCOBAR - IL PROF E L’ELOGIO DEL CRETINO
“La supremazia degli stupidi: è l’era della banalità dilagante”
“GLI ITALIANI SI CREDONO FURBI MA PER LO PIÙ SONO FESSI. E SENZA LEADER”

di Antonello Caporale

“La democrazia è definita anche dal diritto ad essere stupidi. Esiste la libertà di dire stupidaggini e in qualche modo dobbiamo tutelarla”.

Roberto Escobar, filosofo della politica, è pieno di compassione verso le castronerie del nostro tempo, già drammatico di suo.

Le castronerie sono il frutto di una selezione capovolta della classe dirigente. Se manca un pensiero, un orizzonte positivo cioè a cui tendere, resta l’azione quotidiana del nulla, la banalità quotidiana dentro la quale la classe dirigente trova un suo sistema virtuoso di galleggiamento.

Scegliamo i peggiori, votiamo i peggiori, e poi ci rammarichiamo che siano tali.

A uno che ieri l’altro chiedeva i pieni poteri e oggi denuncia il sequestro della democrazia per via del coronavirus cosa vuole rispondere? Bisogna essere pazienti e spiegargli che i pompieri esistono per spegnere gli incendi. Nondimeno i pompieri restano anche se non c’è fuoco da spegnere. Lo stato di emergenza è una clausola di salvaguardia dai rischi potenziali della pandemia non la messa in mora della nostra libertà. È così banale, non dovrebbe essere difficile per nessuno capirlo.

Lei ha insegnato per tutta la vita filosofia, e ha idee di sinistra. Adesso che il virus ha messo in crisi il liberismo la sinistra sembra una vedova inconsolabile.

I peggiori si trovano ovunque, mica solo da quella parte? Il capitalismo si è rotto e noi, grazie alla insussistenza di un pensiero alternativo, non sappiamo che pesci prendere.

Non ci sono i filosofi di un tempo, caro professore.

Il tempo del pensiero è rubato dalle ospitate televisive. Con l’effetto collaterale di liberare parole senza possedere un telaio politico e culturale che le sostenga.

Smart working, per esempio.

Che bestialità! Cosa ci sia di smart in questo working è davvero un mistero. Riprendano i libri di storia e rileggano il Seicento. Si chiamava lavoro a domicilio. Nel settore della tessitura i padroni, gli odierni capitalisti, ritennero più fruttuoso spostare i telai, il mezzo di produzione, dalla fabbrica alle case dei contadini. I contadini divennero operai, ma il loro costo fu abbattuto. Tutto torna.

Temo che per parecchio tempo faremo i conti col lavoro a domicilio.

La prima cosa che mi viene in mente, magari non la più importante: chi mangerà a pranzo in trattoria?

Lei è catastrofista.

Ho scritto un libro che ha per titolo Il buono del mondo. Una frase di Giacomo Leopardi che peraltro diceva: “Quando vedo un ramo spezzato soffro”. Io credo che il mondo abbia energie positive e la solidarietà sia un’attitudine umana dal valore inestimabile. Certo, non devo volgere lo sguardo a ciò che leggo. L’ultima di Trump per esempio: invalidare le elezioni presidenziali. Sarebbe un segnale catastrofico, un attentato alla democrazia. Spero che sia una boutade, ma so, valutando la personalità di chi ha pronunciato questa frase, che assume la forma di una proposta plausibile, possibile.

Restiamo alle disgrazie italiane.

Con raccapriccio ho ascoltato il presidente della Regione Lombardia dire che negli anni settanta era di moda portare i soldi all’estero. Sono convinto che questa sua efferata dichiarazione non sarà censurata dall’opinione pubblica che anzi apprezzerà la furbizia dell’uomo. Noi italiani crediamo di essere tutti assai furbi. Invece non sappiamo che dei sessanta milioni che siamo magari un milione sarà costituito da gente scaltra. Resta a piede libero l’assoluta maggioranza formata da stupidi che si credono furbi.

Se il mondo è governato dai peggiori, il peggio arriverà.

Ho riletto La peste di Camus, come credo in tanti abbiano fatto in questo tempo di paura. Camus non chiedeva eroi ma medici che sapessero, fatica dopo fatica, insuccesso dopo insuccesso, costruire un domani. Noi dobbiamo provare l’umiltà della cura.

Saremo più poveri. Più incavolati. E uindi più infelici.

Più poveri forse sì. Anzi, tolgo il forse. Però non è ancora detto che saremo più infelici.

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