Potrebbe essere una banalità, ma ve lo siete mai domandato perché siamo attratti dalla lettura?
E' una di quelle domande che hanno una miriade di risposte. Personalmente una delle migliori credo sia quella di Marcel Proust (sto leggendo la Recherche, ve lo dissi alcuni post fa.)
Lascio a lui la parola, ci mancherebbe!
Dopo questa convinzione centrale che, durante la mia lettura, compiva incessanti movimenti dall'interno all'esterno, verso la scoperta della verità, venivano le emozioni suscitate in me dall'azione a cui prendevo parte, giacché quei pomeriggi erano più densi di avvenimenti drammatici di quanto spesso non sia tutta una vita. Erano gli avvenimenti che accadevano nel libro che stavo leggendo; è vero che i personaggi cui si riferivano non erano «reali», come diceva Françoise. Ma tutti i sentimenti che la gioia o la sventura di un personaggio reale ci fa provare non si producono in noi senza la mediazione di un'immagine di quella gioia o di quella sventura; la genialità del primo romanziere fu di comprendere che, nel meccanismo delle nostre emozioni, poiché l'immagine è il solo elemento essenziale, la semplificazione consistente nel sopprimere puramente e semplicemente i personaggi reali avrebbe costituito un perfezionamento decisivo. Un essere reale, per quanto profondamente possiamo simpatizzare con lui, è percepito in gran parte dai nostri sensi, vale a dire resta opaco per noi, offre un peso morto che la nostra sensibilità non può sollevare. Se una disgrazia lo colpisce, potremo esserne commossi solo in una piccola parte della nozione totale che abbiamo di lui; di più, lui stesso potrà esserlo solo in una parte della nozione totale che ha di sé. La trovata del romanziere è stata di aver pensato di sostituire quelle parti impenetrabili all'anima con una uguale quantità di parti immateriali, tali cioè che la nostra anima possa assimilarle. Che importa allora se le azioni, le emozioni di questi individui di una nuova specie ci appaiono come vere, dal momento che le abbiamo fatte nostre, che si producono in noi, che tengono sotto il loro controllo, mentre voltiamo febbrilmente le pagine del libro, il ritmo del nostro respiro e l'intensità del nostro sguardo. E una volta che il romanziere ci ha messi in questo stato, nel quale, come in tutti gli stati puramente interiori, ogni emozione viene decuplicata, e il suo libro provocherà in noi un turbamento simile a quello di un sogno, ma un sogno più chiaro di quelli che facciamo dormendo e che nel ricordo durerà di più, allora, eccolo scatenare in noi, per un'ora, tutte le gioie e tutte le sventure possibili, di cui nella vita impiegheremmo anni a conoscerne qualcuna, e le più intense non ci sarebbero mai rivelate, perché la lentezza con la quale si producono ce ne toglie la percezione; (così, il nostro cuore muta, nella vita, ed è questo il dolore più grande; ma noi lo conosciamo solo nella lettura, con l'immaginazione: nella realtà esso muta, così come si producono certi fenomeni naturali, abbastanza lentamente, perché, se possiamo constatare successivamente ciascuno dei suoi diversi stati, in compenso la sensazione stessa del mutamento ci sia risparmiata).
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