Ue e Usa sbagliano guerra. Armi invece di farmaci
Continua la cooperazione dell’Occidente per l’acquisto di armamenti e per le esercitazioni Nato, ma non per far fronte all’emergenza Coronavirus che, invece, è una minaccia reale
Continua la cooperazione dell’Occidente per l’acquisto di armamenti e per le esercitazioni Nato, ma non per far fronte all’emergenza Coronavirus che, invece, è una minaccia reale
di Stefano Valentino | 30 MARZO 2020
L’Occidente si prepara alla guerra. Peccato sia quella sbagliata. Continua a mettere in comune armi e armate, piuttosto che medicinali e medici per combattere l’attuale nemico: il coronavirus. L’ossessione di misurarsi coi loro ex-avversari della Guerra Fredda fa dimenticare ai leader occidentali che l’urgenza del momento è tendersi la mano sulla salute. Gli Stati Uniti e i suoi alleati dimostrano che il loro approccio alla sicurezza globale rimane invariabilmente militare. Il crescente numero di vittime seminate dalla sindrome respiratoria Covid-19 dovrebbe invece accelerare il rafforzamento della cooperazione tecnico-scientifica.
Nel 2018, un rapporto del World Economic Forum presagiva che nel prossimo futuro il mondo avrebbe dovuto temere le calamità biologiche più dei conflitti a fuoco. Eppure, mentre la scarsa collaborazione inter-governativa nel campo della ricerca sul coronavirus rischia di ritardare la vittoria sulla pandemia, Donald Trump non rinuncia all’esercitazione “Europe Defender”. Avviata il 28 febbraio, l’operazione vuole dimostrare la capacità della Nato di contrastare potenziali attacchi dalla Russia. Washington si è limitato a ridimensionare quello che doveva essere il più grande contingente dispiegato nel Vecchio Continente in 25 anni, inviando 6 mila soldati (anziché i 20 mila previsti). Questi affiancheranno i 9 mila già di stanza sul territorio europeo e gli 8 mila dei sette paesi continentali coinvolti nell’addestramento (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Germania, Paesi Bassi e Belgio). Tutti questi uomini si sposteranno fino a fine maggio attraverso le frontiere dell’Europa centro-orientale, sbeffeggiando il blocco anti-contagio imposto dagli Stati membri. Lungi dal respingere l’infezione, la marcia di truppe che sfoggiano equipaggiamenti all’avanguardia potrebbe piuttosto contribuire a diffonderla.
L’Italia ha annullato la sua partecipazione, preferendo impegnare il proprio esercito nella gestione della crisi che sta devastando la penisola. E ha accettato, al contempo, l’assistenza medica di Mosca. L’astuta magnanimità di Vladimir Putin mira precisamente a svergognare l’assenza di solidarietà degli Alleati che hanno abbandonato il governo di Giuseppe Conte malgrado la sua ufficiale richiesta d’aiuto. La mossa del Presidente russo allarga il fossato scavato dai protezionismi che rendono i partner del Trattato di difesa incapaci di affrontare collettivamente l’inattesa aggressione epidemica. Il loro egoistico ciascuno-per-sé ha suscitato le critiche di Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). L’agenzia Onu basata a Ginevra è dovuta ricorrere a un crowdfunding di solidarietà presso privati per compensare le ingenerose donazioni raccolte dai governi per le sue contromisure sul Covid-19. Solo 12 dei 29 firmatari dell’Alleanza Nord-Atlantica hanno contribuito, e con poco più di 65 milioni di euro (pari al totale offerto da Cina e Kuwait). L’erario italiano ha sborsato 419 mila euro, a fronte di una quota annuale di 203 milioni di euro che verserà al bilancio complessivo di oltre 2 miliardi dell’Alleanza atlantica (che riserva una percentuale irrisoria alla lotta ai pericoli ambientali).
L’Oms non ha incassato finora neanche la metà dei 623 milioni di euro di cui ha bisogno (La Ue ne ha versati 33), un decimo dei quali servirà per le immediate necessità fino ad aprile 2020. Il peggioramento della situazione potrebbe richiedere ulteriori risorse, quelle che le economie ricche avrebbero dovuto investire con lungimiranza negli ultimi 5 anni nell’ambito della Global Health Security Agenda. Lanciata nel 2014 dopo lo scoppio dell’Ebola e guidata dal nostro paese fino al 2019, l’iniziativa doveva preparare i sistemi sanitari nazionali contro infestazioni su larga scala, comprese quelle di origine animale. Come il coronavirus appunto. Ma il programma è indebolito dai pochi fondi a disposizione. Così, i laboratori clinici nelle due sponde dell’Atlantico, nonché in Giappone e Cina, si ritrovano a competere in una frettolosa gara al miracolo salva-vita, anziché potersi valere di una rete collaudata per testare e distribuire mondialmente gli sperati antidoti. Le aziende farmaceutiche, coalizzate sulla sperimentazione, hanno messo in guardia contro eventuali nazionalizzazioni degli approvvigionamenti di farmaci anti-virus che impedirebbero di spegnere uniformemente i focolai di trasmissione. Quasi tutti i governi hanno infatti ordinato divieti di esportazione di materiale sanitario. L’embargo è stato indetto anche dalla Commissione Ue che ha recentemente erogato altri 77 milioni di euro alla tedesca CureVac, la società più promettente per la scoperta del vaccino, per contrastare il tentativo di Trump di acquisirne la licenza esclusiva per gli Usa. Parallelamente, il lavoro congiunto degli ingegneri bellici del fronte pro-americano prosegue liscio come l’olio. Esenti dalle restrizioni d’emergenza alle attività produttive, l’azienda tricolore Leonardo (partecipata al 30% dal ministero del Tesoro) e le fabbriche di ordigni americane e giapponesi hanno ripreso la fabbricazione coordinata degli F-35. Gli aerei da combattimento del colosso a stelle e strisce Lockheed Martin, voluti dal Pentagono e cofinanziati da denari pubblici, costeranno alle nostre tasche 805 milioni di euro solo nel 2020. La verità è che il sobrio scambio di informazioni sul Covid-19 tra gli scienziati salverà più vite delle pompose parate corazzate e dell’esosa corsa agli armamenti.
La transizione verso una moderna geopolitica che sostituirà la rivalità Est-Ovest con sforzi condivisi per proteggere i cittadini dalle crescenti minacce ecologiche ha ancora molta strada da fare.
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