giovedì 28/03/2019
Zingaretti e il tutto fa brodo per vincere
di Daniela Ranieri
Una delle più frustranti tendenze del futuro è quella di degradarsi rapidamente in presente. Noi, per dire, avevamo creduto alla ventata di novità che con l’arrivo di Zingaretti, issato dal corposo e speranzoso “popolo delle primarie” in cima al Pd, era spirato dentro a quel partito così giovane fuori (solo 11 anni) e così vecchio dentro; così come, a suo tempo, credemmo che l’allontanamento igienico dell’allora minoranza Pd dal tanfo neoliberista dell’oligarchia gigliata fosse sentito e meditato sulla tara degli ideali. Ora, può darsi che abbiamo capito male noi, e nel caso saremmo ben lieti di accogliere il chiarimento di qualche esegeta più preparato in fatto di singulti, afonie, balbuzie, mezze frasi e messaggi cifrati che caratterizzano la cosiddetta comunicazione del fatato mondo del Pd; ma apprendiamo da fonti certe (Corriere) che nella direzione dell’altro ieri al Nazareno Zingaretti ha “ottenuto il mandato per trattare con le altre forze politiche”, inclusi i transfughi della ex minoranza, poi fondatori di Articolo1-Mdp, per la creazione di una lista unitaria alle europee. Apprendiamo anche che a opporsi sono stati 17 ultras renziani, ancora convinti che quelli di Mdp siano “coloro che hanno lavorato per far perdere il Pd alle politiche” (Giachetti), come se non avesse fatto tutto Renzi da solo; e che, soprattutto, gli ex scismatici ci starebbero seriamente “pensando”.
Ci siamo messi a compulsare verbali e profili Twitter, a interrogare testimoni oculari e a fermare passanti per capire se per caso Zingaretti, per questa sua operazione di simbolica e pastorale riconduzione all’ovile, avesse almeno fatto cenno a qualche abiura non solo di maniera di opere e omissioni renziane, cioè di tutti gli obbrobri perpetrati da un soggetto che ha dimezzato i voti del Pd, decimato gli iscritti, perso tutto il possibile dopo il risultato-totem del 40,8% e, al di là dei numeri, sfigurato il volto culturale di un partito ridotto talmente male che i suoi elettori, chiamati al riconoscimento a un anno dalla tragedia del 4 marzo, hanno a malapena identificato.
In altre parole, la pensosità degli esuli ci ha indotto per un istante a illuderci che Zingaretti avesse promesso di ridiscutere il Jobs Act, o di reintrodurre l’art.18, o di cambiare la vigente legge elettorale detta Rosatellum, sulla quale Renzi costrinse Gentiloni a mettere la fiducia alla Camera e al Senato, perché l’identità di un partito determina anche i modi in cui i suoi eletti si relazionano con l’Europa. Abbiamo sperato che le parole di Zingaretti secondo le quali l’eventuale alleanza con Bersani e Speranza “non significa convergenze che mettono indietro le lancette della scissione” fossero frutto di un refuso fonico e che in realtà volessero dire l’opposto, e cioè che l’alleanza sarebbe esattamente un modo per tornare indietro, resettare il cortocircuito generato dal passaggio degli unni toscani, recuperare la fiducia degli elettori ancora scioccati dalla protervia classista dei bulli toscani, ristabilire un rapporto di correttezza istituzionale con persone serie che il Caligola del Valdarno tentò di intimidire in modi vari e fantasiosi, minacciando “lanciafiamme” in direzione o epurandole dalla Commissione Affari Costituzionali perché osarono contraddire i suoi ordini proprio in merito alla legge elettorale.
Niente affatto. A suggerire al segretario del Pd “la mossa” di “sdoganare i fuoriusciti” (La Stampa) sarebbe la necessità di “non perdere nemmeno un voto” alle europee, esigenza che renderebbe possibile l’unione nella stessa lista di forze eterogenee quali i calendiani (cioè Calenda, addirittura messo nel simbolo del Pd) e persone di sinistra. Il tutto in virtù di quel mito creato e sponsorizzato dalle élite (non a caso a Zingaretti l’idea è venuta dopo un colloquio col vice presidente della Commissione europea Timmermans) che tutto fa brodo pur di battere i populisti-sovranisti. Tutto, anche riprodurre la più perdente di tutte le idee degli ultimi anni, e cioè che per battere la destra bisogna annacquare più possibile la sinistra.
Di Zingaretti, a parte la bravapersonità, ci sfuggono caratteristiche, programma e idee politiche; ma se Mdp si allea col Pd, tenendo conto che quando era in LeU ha già appoggiato Zingaretti alle amministrative, può farlo solo per tre motivi: o crede alla validità di quel mito (tutti insieme, liberisti e socialdemocratici, padroncini e politici di sinistra, pur di vincere contro i populisti: il massimo del populismo); o vuole fare una prova in vista delle politiche (auguri); o intende semplicemente sopravvivere e non sa farlo con una proposta politica nuova. Senza contare che così facendo dà ragione a Renzi, il quale ha sempre sostenuto che chi usciva dal Pd e ne prendeva le distanze in tutte le elezioni “facendo vincere il Matteo sbagliato” lo faceva perché odiava lui e non in ragione di ideali politici.
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