mercoledì 13 marzo 2019

Illuminante


mercoledì 13/03/2019
Ora o Rai più

di Marco Travaglio

La scena di un gigante della tv, Freccero, costretto a render conto a una congrega di nani, i politici della commissione parlamentare di Vigilanza, e quella di un direttore generale come Salini convocato come una colf dal vicepremier Salvini la dicono lunga su quello che dovrebbe fare un vero “governo del cambiamento”. Sbaraccare la legge Gasparri-Renzi, che consacra il conflitto d’interessi televisivo dei partiti rendendo i governi azionisti e padroni della Rai. Cancellare la commissione di Vigilanza, dove i partiti vigilano sull’ente radiotelevisivo che dovrebbe vigilare su di loro. E affidare il “servizio pubblico” a un’entità indipendente dalla politica, retta in maggioranza da chi la tv la deve fare e non da chi dovrebbe entrarci solo se invitati, bussando alla porta e chiedendo permesso. I sepolcri imbiancati che criticano la Rai giallo-verde come un fenomeno inedito fingono di dimenticare di aver fatto, fino a 6 mesi fa, ben di peggio.

La Rai berlusconiana epurava Biagi, Luttazzi, Santoro, Freccero, i Guzzanti, Beha, Paolo Rossi, Massimo Fini ecc., spacciava per assoluzioni le prescrizioni di B.&Andreotti e addirittura le condanne per mafia di Dell’Utri. La Rai renziana violava addirittura il sacro principio della lottizzazione (due reti al governo e una all’opposizione), renzizzando tutte le reti e tutti i tg, epurando Gabanelli, Giletti e Giannini e toccando livelli da Pravda nella campagna referendaria, quando il Sì occupava tutti gli spazi e al No toccavano le briciole. Quindi oggi nessuno ha titolo per lamentarsi della lottizzazione giallo-verde, finora peraltro immune da epurazioni. Domenica scorsa, su Rai1, Veltroni dominava il pomeriggio da Mara Venier e Zingaretti la serata da Fabio Fazio, com’è giusto che sia nella totale autonomia dei programmi: ma ve l’immaginate una doppietta Grillo-Di Maio nella Rai1 di B. o di Renzi? Poi, certo, i primi due tg sono insopportabilmente governativi (Rai3 e Tg3 sono rimasti alla “sinistra”). Ed entrambi dalla parte di Salvini (il partito forzaleghista spadroneggia in Rai dal 1994), con puerili e controproducenti concessioni del Tg1 ai 5Stelle (le imbarazzanti cronache dei tracolli in Abruzzo e in Sardegna, trasformati in strepitosi successi). Anche se, va detto, per eguagliare i livelli di servilismo del passato devono ancora lavorare sodo. Minzolingua e Johnny Riotta al Tg1 restano modelli insuperati. Come pure Mazza, il direttore del Tg2 targato An che salutò il V-Day col gesto della pistola, manco fosse un raduno di neobrigatisti (il suo editoriale s’intitolava Grillo e grilletti e fu sbertucciato persino da Fini).

E rivendicò il diritto-dovere di ignorare Il Caimano di Nanni Moretti perché – testuale – “il film è pieno zeppo di allusioni e citazioni riferite o riferibili a Berlusconi. Non essendo annunciato nelle prossime ore nessun film con citazioni o allusioni riferite o riferibili a Prodi, il Tg2 ha deciso di non occuparsi di questo film”. Ora, un “governo del cambiamento” non può accontentarsi di dire che gli altri erano peggio. Dovrebbe proporre qualcosa di meglio. Pretendere che Salvini rinunci a questa potenza di fuoco, è una pia illusione (anche se gli farebbe onore). Gli ex renziani ed ex forzisti Rai convertiti sulla via del Carroccio sono così famelici e rampicanti che il Cazzaro Verde non deve neppure reclutarli: gli basta raccattarli. Ma i 5Stelle in Rai non hanno nessuno: infatti hanno indicato due professionisti indipendenti come Freccero e Salini, più il carneade Carboni al Tg1, che ha paura della sua ombra e si barcamena. Dunque, non avendo nulla da perdere, dovrebbe essere il M5S a fare la prima mossa per una riforma Rai che costringa finalmente i partiti a uscirne con le mani alzate (tutti, non solo gli altri come fece Renzi). E lanciare la sfida ad alleati e oppositori, a cominciare dal Pd di Zingaretti che avrà un’ottima occasione per dimostrarsi nuovo o restare vecchio. Così si vedrà chi vuole un servizio davvero pubblico e chi preferisce i soliti servizietti privati. La riforma è già bell’e scritta: attende soltanto, da 12 anni, che qualcuno la sposi. La preparò nel 2005 un gruppo di giornalisti, artisti e giuristi, fra i quali Tana de Zulueta, Sabina Guzzanti, Michele Gambino, Giovanni Valentini, Curzio Maltese, Carlo Freccero, Giulietto Chiesa e Furio Colombo, in forma di legge di iniziativa popolare, traendo il meglio dai sistemi radiotelevisivi pubblici del resto d’Europa. Le migliaia di firme raccolte furono consegnate nel 2006 al ministro delle Telecomunicazioni (governo Prodi-2), Paolo Gentiloni, che le infilò in un cassetto e le lasciò riposare in pace. Ora quel progetto potrebbe riprenderlo Di Maio, che ha tenuto le Telecomunicazioni, convocandone gli autori (nessuno è “grillino”, anzi) e facendola propria. Il punto di partenza è la creazione di un Consiglio per le Comunicazioni Audiovisive di 24 membri (un terzo designato dai presidenti di Camera e Senato, due terzi da rappresentanti dei territori, del mondo produttivo e sindacale, della cultura e degli operatori radiotelevisivi: Regioni, Comuni, sindacati, imprenditori, consumatori, utenti, editori, autori, artisti, università) in carica per 6 anni (ergo svincolati dalle maggioranze parlamentari). Il Consiglio nomina il Cda Rai, “selezionato mediante concorsi pubblici non in base ad appartenenze politiche, ma a professionalità e indipendenza”, che a sua volta elegge presidente e dg. Anche l’Agcom è nominata dal Consiglio nazionale, con gli stessi criteri di competenza e indipendenza, mentre la Vigilanza è finalmente abolita. Così nessun politicante potrebbe più chiedere nulla a Freccero e, se Salini fosse convocato da Salvini, gli risponderebbe con una pernacchia. Utopia? Può darsi. Ma ogni tanto le utopie si avverano. Basta volerlo.

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