Era dai tempi eroici dell'ineguagliabile Mastro Pippo che non s'avvertiva in campo una presenza non dico uguale, ma avvicinabile all'Arte fattasi attaccante, incarnata a suo tempo nel Cigno di Utrecht, che gli spiriti malvagi ci rapirono colpendolo nella cartilagine della caviglia. Da allora infatti una pletora di affaticati numeri nove tentò di rinvangare le incommensurabili gesta del signore della coppa con le orecchie, senza riuscirvici neanche lontanamente, come l'ultimo Pandoro argentino ha purtroppo confermato. Ma ecco che dalla Polonia un vento gagliardo si è abbattuto sontuosamente in casa rossonera per rinfocolare ansie e gioie mai dimenticate, in grado di far assurgere la compagine indomita sulle alte vette della gloria, assieme alle sette, dico sette, ribadisco sette, sublimi Champions, che se fossero state vinte da quella squadra che sta tentando di tutto per riemergere dall'anonimato europeo, avrebbero indotto la loro famigerata dirigenza ad esporre targhe false sullo stadio con numeri sparati a caso, come quello degli scudetti rub.. pardon, acquisiti.
Dalla Polonia dunque è calato sul manto erboso della Scala del Calcio un ventitreenne capace di sentire, avvertire la porta in ogni centimetro dell'erba, di spalle, chiuso dentro una cassa ricolma d'acqua come Houdini, o distratto dal balletto del Crazy Horse, o rincorso da venti tori fumanti. Sempre, in ogni modo, contro ogni regola balistica, sfanculante ferree regole fisiche universali, il Pistolero Piatek vede, avverte, odora la porta, per clamorose e maestose reti, beffeggianti gravità e buchi nell'ozono.
Sarà proprio lui, tra non molto, a portare nell'infinita e gloriosa sala dei trofei l'Ottava, prima che altri arrivino alla terza, in realtà seconda. E' una certezza che mi ha posseduto ieri sera allorché ho ammirato il Pistolero segnare un gol che avrebbe indotto Einstein a sbriciolare fogli di calcoli e formule, convincendolo a ritornare alla primaria professione di impiegato postale.
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