venerdì 14/12/2018
Il vero spread
di Marco Travaglio
Siamo così a corto di buone notizie, specialmente dal fronte politico, che quando ne arriva qualcuna va segnalata. Ieri, insieme ai progressi della trattativa avviata da Conte (il famoso Signor Nessuno) con Juncker per scongiurare in zona Cesarini la procedura d’infrazione, è giunto un altro bel segnale dall’Europa: i primi elogi – al posto delle solite reprimende – all’Italia dal Gruppo di Stati contro la corruzione (il “Greco”, cioè l’organo del Consiglio d’Europa specializzato nella lotta alle mazzette). Nell’ultimo rapporto, il Greco parla di “progressi nella prevenzione della corruzione nel sistema giudiziario”, anche se “molto resta ancora da fare, in particolare per la corruzione dei parlamentari” con una seria normativa contro i “conflitti di interessi” (annunciata e poi bloccata dal passato centrosinistra), con “regole dettagliate su donazioni, regali, ospitalità, favori e altri benefici per i deputati”, con norme più stringenti “sulle incompatibilità e le ineleggibilità” e con barriere più potenti contro le “lobby”.
È positivo invece il giudizio del Greco sul ddl Spazzacorrotti del ministro Bonafede che, approvato ieri in seconda lettura al Senato, dovrebbe entrare in vigore entro Natale dopo che la Camera l’avrà rivotato per cancellare ogni traccia dell’emendamento-vergogna sul peculato: quello, passato con voto segreto a Montecitorio nella famosa imboscata Lega-FI-Pd che mandava assolti decine di parlamentari, consiglieri regionali e comunali imputati per avere rubato rimborsi pubblici indebiti per pagarsi le proprie spese private, e depennato a Palazzo Madama. La Bribe Destroyer (Distruttore di Mazzette) è giudicata dal Greco “con favore” perché “potrebbe rivelarsi fondamentale per far avanzare la lotta alla corruzione”: “rafforza la prevenzione, la persecuzione e la punizione della corruzione nei settori pubblico e privato”, anche con l’agente infiltrato, “aggrava le pene fino a 8 anni di reclusione” e “potenzia le sanzioni accessorie”. Ma soprattutto “interrompe la prescrizione al giudizio di primo grado”. E “abbassa notevolmente la soglia di divulgazione per le donazioni ai parlamentari (l’obbligo di divulgazione si applica non più a quelle superiori a 5.000 euro l’anno, ma a quelle superiori a 500 euro l’anno)”. Nelle 15 pagine del rapporto di Strasburgo, non compaiono mai espressioni bizzarre come “giustizialismo”, “populismo giuridico”, “giacobinismo”, “persecuzione”, “accanimento” e altre cazzate di uso corrente in Italia. Sia perché sono intraducibili in qualunque altra lingua.
Sia perché, al di là della frontiera di Chiasso, il garantismo è una cosa seria e non il rifugio dei peggiori mascalzoni. Sia perché tutto ciò che da noi passa per un obbrobrio giuridico all’estero è considerato ordinaria tutela della legalità e dello Stato di diritto. Il vero spread, oltre a quello fra il rendimento dei nostri titoli di Stato e quello dei Bund tedeschi, è proprio questo: ciò che è normale nelle altre democrazie, qui è barbarie. Ed è significativo che sia proprio il presunto governo dei “barbari” a incassare i primi complimenti, dopo anni di anatemi, dal massimo organismo europeo anticorruzione. Questo apparente paradosso dovrebbe indurre a qualche riflessione l’avvocatura associata, salita sulle barricate e addirittura scesa in sciopero contro il blocco della prescrizione, come se questa fosse un “diritto dell’imputato” anziché una resa dello Stato e uno schiaffo alle vittime. Ma dovrebbero meditare anche i tanti magistrati cacadubbi delle correnti di destra e di sinistra che, dopo aver chiesto per vent’anni una legge che la facesse finita con quest’amnistia selettiva e censitaria per ricchi e per potenti, ora spaccano il capello in quattro solo perché il governo che risolve il problema è quello “sbagliato” (quelli “giusti” invece ve li raccomando). O fanno come Repubblica, che ai tempi di B. dipingeva la prescrizione – e giustamente, anche citando le raccomandazioni inascoltate del Greco – come la sèntina di tutti i mali; e, ora che i 5Stelle la bloccano, la difende a spada tratta con gli stessi argomenti di B.: “giustizialisti”, “manettari”, violatori dei “diritti degli imputati” (all’impunità).
Tutti concetti che gli esperti europei in lotta alla corruzione non conoscono, avendo come obiettivo quello di combattere le tangenti, non quello di coprirle, e ben sapendo distinguere le sacrosante garanzie per gli imputati dalle assurde scappatoie per farla franca. In questo, agevolati dall’avere evitato 25 anni di inquinamento lessicale, culturale e semantico del berlusconismo nelle sue varie declinazioni: quello doc di Berlusconi & C. e quelli emulativi della sinistra post-gruppettara (impunitaria per vocazione), del partito confindustriale degli affari e dei malaffari (impunitario per necessità) e dell’opinionismo pseudoliberale o radicale (impunitario per ignoranza e/o stupidità). Infatti, in Europa, tutto ciò che scandalizza gli pseudogarantisti nostrani è visto come un qualcosa di addirittura troppo blando. Tant’è che il Greco chiede al governo italiano di aggiungere alla Spazzacorrotti una norma che imponga ai politici “di restituire benefici inaccettabili, con l’eccezione di regali di cortesia, e un sistema di dichiarazioni per i pochi benefit ammessi (inviti, ospitalità…) e altri beni che diventano proprietà del Parlamento”. Ogni riferimento ai Rolex e alle bici da corsa dell’èra Renzi è puramente casuale. Manca invece qualsivoglia accenno ai leader bolliti d’opposizione che rivendichino pubblicamente il mercato delle vacche per acquistare deputati e senatori della maggioranza. Ma solo perché, oltre frontiera, chi ci provasse finirebbe ipso facto in galera.
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