Un luogo ideale per trasmettere i miei pensieri a chi abbia voglia e pazienza di leggerli. Senza altro scopo che il portare alla luce i sentimenti che mi differenziano dai bovini, anche se alcune volte scrivo come loro, grammaticalmente parlando! Grazie!
lunedì 3 dicembre 2018
Parole sante ma...
Questo è l'articolo del direttore di Avvenire apparso sabato scorso in edicola:
Il presepe vivente. Una norma cattiva e parole al vento
Marco Tarquinio
sabato 1 dicembre 2018
Il presepe di cui qui si parla è vivente. Loro sono giovanissimi: Giuseppe (Yousuf), Fede (Faith) e la loro creatura. Che è già nata, è una bimba e ha appena cinque mesi. Giuseppe viene dal Ghana, Fede è nigeriana, entrambi godono – è questo il verbo tecnico – della «protezione umanitaria» accordata dalla Repubblica Italiana. Ora ne stanno godendo in mezzo a una strada. Una strada che comincia appena fuori di un Cara calabrese e che, senza passare da nessuna casa, porta dritto sino al Natale. Il Natale di Gesù: Uno che se ne intende di povertà e grandezza, di folle adoranti e masse furenti, di ascolto e di rifiuto, del "sì" che tutto accoglie e tutti salva e dei "no" che si fanno prima porte sbattute in faccia e poi chiodi di croce.
Giuseppe e Fede solo stati abbandonati, con la loro creatura, sulla strada che porta al Natale e, poi, non si sa dove. Sono parte di un nuovo popolo di "scartati", che sta andando a cercare riparo ai bordi delle vie e delle piazze, delle città e dell’ordine costituito, ingrossando le file dei senza niente.
Sono i senza più niente. Avevano trovato timbri ufficiali e un "luogo" che si chiama Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) su cui contare per essere inclusi legalmente nella società italiana, apprendendo la nostra lingua, valorizzando le proprie competenze, studiando per imparare cose nuove e utili a se stessi e al Paese che li stava accogliendo. Adesso quel luogo non li riguarda più. I "rifugiati" sì, i "protetti" no. E a loro non resta che la strada, una strada senza libertà vera, e gli incontri che la strada sempre offre e qualche volta impone: persone perbene e persone permale, mani tese a dare e a carezzare e mani tese a prendere e a picchiare, indifferenza o solidarietà.
Si può essere certi che il ministro dell’Interno, come i parlamentari che hanno votato e convertito in legge il suo decreto su sicurezza e immigrazione, non ce l’avesse con Giuseppe, Fede e la loro bimba di cinque mesi. Ma è un fatto: tutti insieme se la sono presa anche con loro tre, e con tutti gli altri che il Sistema sta scaricando fuori dalla porta. Viene voglia di chiamarla "la Legge della strada". Che come si sa è dura, persino feroce, non sopporta i deboli e, darwinianamente, li elimina. È un fatto: la nuova "Legge della strada" già comanda sulla vita di centinaia di persone che diverranno migliaia e poi decine di migliaia. Proprio come avevamo avvertito che sarebbe accaduto, passando – ça va sans dire – per buonisti e allarmisti.
Eccolo, allora, davanti ai nostri occhi il presepe vivente del Natale 2018. Allestito in una fabbrica dell’illegalità costruita a suon di norme e di commi. Campane senza gioia, fatte suonare per persone, e famiglie, alle quali resta per tetto e per letto un misero foglio di carta, che ironicamente e ormai vuotamente le definisce meritevoli di «protezione umanitaria». Ma quelle campane tristi suonano anche per noi.
P.S. Per favore, chi ha votato la "Legge della strada" ci risparmi almeno parole al vento e ai social sullo spirito del Natale, sul presepe e sul nome di Gesù. Prima di nominarlo, Lui, bisogna riconoscerlo.
Parole dure, parole arse da verità, scomode, inquietanti. Come il domandarsi se la Chiesa abbia sempre fatto tutto quello che riteniamo in suo potere, terreno, per questi protetti.
Intendiamoci: l'accoglienza vi è stata, ci mancherebbe. Come ci sono stati i ritorni economici, anche quello un dato di fatto.
Ora che un decreto, che non condivido, fa emergere tutta la sepoltura imbiancata che per anni abbiamo sopportato, facendo a volte finta di nulla, inducendoci a non vedere, a non commentare soprusi, vigliaccherie, nei confronti di questi nostri fratelli, ora che tutto sta venendo a galla, occorrerebbe, io per primo, domandarci: abbiamo rispettato i canoni evangelici, abbiamo fatto sì che l'accoglienza dell'altro sia stata incanalata nei parametri dettati dalla Buona Novella?
Non è che il porsi l'animo in pace, trascurando il centro di tutto, il loro cuore, abbia innescato un ozioso girovagare di tanti sfortunati senza meta né decoro, finendo per trasformarli in insopportabili da parte della pubblica opinione?
Domandiamocelo ora, anche se è già troppo tardi, non foss'altro per evitare d'accampare scuse come comunità di credenti, invalidate dal far finta di nulla per tanti anni, ad esempio, sulla tratta di schiavi nelle campagne pugliesi, calabre, sicule al tempo della raccolta di frutta e verdura, con tanto di baraccopoli issate per ospitare tanti fratelli che si spaccarono la schiena per qualche euro; o per il pensiero che l'APSA abbia un patrimonio stimabile in due miliardi di euro, frutto di lisciate ed incensazioni a convinti fedeli/e nell'atto del lascito testamentario.
Almeno evitiamo questo in quest'Avvento, cupo come non mai.
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