giovedì 01/11/2018
La farsa degli equivoci
di Marco Travaglio
Appassionati come siamo del teatro dell’assurdo alla Ionesco, ma anche del vaudeville francese della commedia degli equivoci, non potevamo non perdere la testa per il caso Consip. E non vediamo l’ora che cominci il processo, che si annuncia quantomai esilarante. Merito degl’impagabili sceneggiatori della Procura di Roma, eredi naturali della grande tradizione dei Flaiano, Zavattini, Age e Scarpelli. Il protagonista assoluto è un giovanotto di belle speranze di Scandicci: Carlo Russo, 33 anni all’epoca dei fatti, “imprenditore” collezionista di fiaschi (dal centro benessere subito chiuso alla vendita di medicine a domicilio, con denunce per truffa da alcuni farmacisti). Berlusconiano in gioventù, poi renziano dopo l’incontro della vita: quello con Tiziano Renzi, che fa da padrino al battesimo di suo figlio e che lui accompagna nei pellegrinaggi a Medjugorje. Voi direte: uno sfigato che si arrabatta tra un fiasco e l’altro. E invece no: Carletto Russo da Scandicci è un genio degli affari, un gigante della finanza, un drago delle pr. Fra il 2015 e il 2016 diventa intimo di Alfredo Romeo, grande imprenditore napoletano del global service che fa miliardi servendo i più alti vertici della Pubblica amministrazione.
Romeo vuol conoscere Tiziano Renzi e Carlo glielo presenta in un bar di Firenze. Romeo vuole farsi amico il nuovo ad di Consip Luigi Marroni ed entrare nell’appalto più grande d’Europa (roba da 2,7 miliardi) e Carletto si attiva. In cambio, l’imprenditore gli promette 2.500 euro al mese per lui (e poi 100 mila euro in una botta sola) e per Tiziano Renzi (30 mila euro al mese) perché crede ingenuamente che Carletto abbia dietro il babbo del premier. Sulla parola, senza neppure alzare il telefono per controllare, prima di metter mano al portafogli. Figurarsi la sorpresa nello scoprire dalla Procura che Russo era un volgare “millantatore” e “impostore”: non agiva per conto di Tiziano, ignaro dei suoi traffici su Consip, anche se a Marroni l’ha “presentato” e “raccomandato” lui; anzi prometteva di intercedere con Marroni per far vincere Romeo, e invece perorava la causa dei suoi concorrenti. “E io pago!”, direbbe Totò. Russo promette a Romeo di raccomandarlo presso l’Inps e infatti gliene porta a domicilio la direttrice generale del Patrimonio, Daniela Becchini. Così Romeo si convince che conti parecchio, grazie alla Family di Rignano: invece è solo un millantatore che riesce ad abbindolare pure l’alta dirigente Inps. Romeo vuole appalti da Grandi Stazioni Rail. E Carletto che fa? Ne incontra l’ad Silvio Gizzi, non una, ma 10 volte.
E proprio sui dettagli dell’appalto Grandi Stazioni s’informa Romeo telefonando alla segretaria mentre sta incontrando o subito dopo aver incontrato Tiziano e Carletto al bar. Ma è solo un’altra coincidenza, infatti i pm quella telefonata non la citano neppure. Ammettono che Tiziano è bugiardo, ma non si domandano che interesse avrebbe a negare di aver visto Romeo, se non ha fatto nulla di illecito per lui. La verità vera è che tutta l’Italia che conta è irresistibilmente attratta dal galoppino di Scandicci: ma per il suo fascino magnetico, non certo perché lo mandi il genitore del premier. Carletto incontra pure il governatore Pd della Puglia Michele Emiliano, per annunciargli una visita di babbo Tiziano, che spera in un aiuto per un affare immobiliare, e si presenta come rappresentante dei Renzi e del Giglio Magico. Emiliano è l’unico personaggio della nostra commedia a domandarsi: ma questo Russo sarà mica un millantatore? E gira la domanda a Lotti: “Conosci un certo Carlo Russo che sta venendo a Bari a ‘sostenermi’ dicendo che è amico tuo e di Maria Elena Boschi?”. Il sottosegretario non ha dubbi: “Lo conosciamo. Ha un buon giro ed è inserito nel mondo della farmaceutica. Se lo incontri per 10 minuti non perdi il tuo tempo”. Nemmeno Lotti, poveretto, sa che Russo è un impostore (infatti i suoi scambi di sms con Emiliano vengono ignorati dai pm). E neanche il tesoriere Pd Francesco Bonifazi, che si fa mandare via email dal millantatore un piano dettagliato per salvare l’Unità coi soldi della sua preda preferita (il solito Romeo).
Un brutto giorno la Procura di Napoli si accorge di tutti quei traffici e, ingenuamente, crede a quel che vede. Malfidati come sono, i pm Woodcock e Carrano ipotizzano financo che Russo stia commettendo reati in nome e per conto del padre del premier che l’ha raccomandato a Marroni e ha incontrato Romeo. Partono indagini e intercettazioni. Ed ecco il colpo di scena: nel dicembre 2016 i sospettati dello scandalo, avvertiti da un uccellino, smettono di parlarsi. Marroni fa persino rimuovere le microspie dagli uffici Consip. Chi li ha informati? Marroni lo dice subito al Noe: il ministro Lotti; il consulente renziano e presidente di Publiacqua Vannoni; il comandante dell’Arma, Del Sette; e il capo dei carabinieri tosco-emiliani Saltalamacchia. Ora i pm confermano la quadrupla fuga di notizie istituzionale per “aiutare gli indagati a eludere le investigazioni”. Quali indagati? L’unico che vogliono processare per gli appalti Consip: Russo. Non certo Marroni, mai indagato. Né Tiziano o Romeo, vittime innocenti delle millanterie di Carletto. Il finale dovete sceglierlo voi, ma delle due l’una. Del Sette, Saltalamacchia, Lotti e Vannoni si rovinano la carriera e la reputazione con quella soffiata per salvare dai guai non Renzi padre e dunque figlio, ma Carlo Russo da Scandicci perché: a) è un genio del male e ha fregato pure loro; b) sanno benissimo che lo manda Tiziano, ma non sanno che Tiziano è innocente; anzi, più malfidati dei pm, lo credono addirittura colpevole. In ogni caso, risate a crepapelle.
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