martedì 18/09/2018
IL COMMENTO
Una Repubblica fondata sulle cene
DIFFERENZE - AD ARCORE FANNO POLITICA NELL’INTERESSE DI B. E SALVINI; I QUATTRO DEMOCRATICI PARLERANNO DEL NULLA
di Daniela Ranieri
Per un misterioso verificarsi di congiunzioni astrali, siamo simultaneamente informati circa due importanti cene (cioè patti) tra i componenti di due opposte (?) fazioni: B. e Salvini ad Arcore, domenica sera; Renzi, Minniti e Gentiloni prossimamente a casa di Calenda, che s’è preso la briga di diramare un “invito formale” su Twitter “per renderlo più incisivo” (e come no, alla notizia il popolo della rete è impazzito, qualcuno s’è anche proposto di offrire il catering). Dalle manifestazioni di piazza contro i fascisti alla cena carbonara nei quartieri alti (“per essere operativi”), il passo non è stato breve, seppure previsto e prevedibile; eppure sembra che da questa cena, a cui non è stato invitato Zingaretti né Martina né altro cartonato di sinistra, dipendano le sorti del Fronte d’opposizione.
Intanto ad Arcore, B., in tutti i sensi riabilitato, tesse la sua infinita tela nelle cose d’Italia. Una foto sul Corriere lo mostra, impettito come un tacchino, dritto sulla soglia di casa, mentre attende l’arrivo degli ospiti. Come sempre quando si tratta di B., la foto è fisica e metafisica insieme; è come se il corpo dell’anziano suggerisse un’eternità ineffabile, un’aura d’altrove, amplificata dal fanale di un’autoblu. Ai suoi piedi Dudù, o chi ne fa le veci (sospettiamo che i cani con cui B. posa siano cloni putiniani del barboncino-matrice originale), atteggia un’espressione stolida. A cena, la collaudata prassi tra il cattivo gusto di B. - il salotto coi libri finti, la tavernetta dei giorni di gloria, il menù tricolore - e l’approccio pragmatico di Salvini e Giorgetti avrà dispiegato tutti i suoi effetti pratici, fattivi, ineluttabili (Tajani avrà versato da bere). Concludendo affari privati al tintinnare di soldi pubblici, Salvini e B. hanno incanalato la discussione nell’inequivocabile assertività del do ut des (tu mi voti il presidente Rai, io ti prometto clemenza contro questi scellerati dei 5Stelle), cioè hanno fatto politica. Gli sarà avanzato pure del tempo per parlare del Milan.
Calenda, di per sé bravo ragazzo, è uomo di poche idee e approssimative; non si capisce perché, dopo una giovinezza spesa dietro ai padroncini della finanza, si ostini a candidarsi a un ruolo gestionale o aggregante in un partito di ex centrosinistra di cui Renzi ha già fatto poltiglia. Per come siamo fatti, una cena con Calenda, Renzi, Minniti e Gentiloni potrebbe esserci fatale. Approveremmo qualunque risoluzione pur di terminare prima possibile. Congresso? Sì. Primarie? Sì. Marcia su Roma e appoggio a un golpe militare guidato da Tiziano Renzi? Sì, per sfinimento, mentre il barzellettiere Matteo tiene banco sfidando chiunque a fare meglio di lui, minacciando ritorni e nessuna pietà per i vinti (ora va dicendo “non vi libererete facilmente di me”, come i clown psicopatici di Stephen King) e tutti mettono in scena la verbosa inettitudine di un ceto politico che non ha studiato abbastanza e ha lavorato esclusivamente alla tutela del proprio interesse, perdendo milioni di voti.
I quattro dell’Ave Maria, sempre che questa cena si faccia e Renzi non la disdica in Tv da Fazio (intanto è stata rimandata da oggi a giorno da destinarsi, un po’ perché Renzi è inopinatamente in Cina, un po’ perché Calenda vuole evitare “l’ennesimo tormentone sul PD”, come se non fosse stato lui a cominciare), parleranno del nulla; Minniti dispiegherà la sua tromboneria di esperto, Calenda e Renzi si fronteggeranno col loro ego aspirazionale, Gentiloni si appisolerà nella sua garbata inconsistenza. Basterebbe cambiare prospettiva per far quadrare il cerchio. Suggeriamo di mischiare la lista dei partecipanti alle cene. Calenda potrebbe incontrare Salvini per vedere se c’è un posto libero da social media manager per lui, e, come sosteniamo da sempre, Renzi dovrebbe cenare con B.: col 24% insieme, potrebbero davvero fare l’opposizione.
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