Personalemente lo ritengo il Giornalista e tutte le mattine leggo avidamente le sue opinioni, in piena concordanza. Altri invece lo vedono come uno schierato, un massacratore scientifico e seriale di nemici.
Carlo Bonini ad esempio su Repubblica lo attacca alla grande. Non sono qui a dire se sia vero o no quel che dice. Solo a cercare di comprendere al meglio cosa voglia dire oggi essere giornalista in Italia.
l metodo Travaglio dieci anni dopo
di CARLO BONINI
L’ex dipendente del Gruppo editoriale l’Espresso, Marco Travaglio, ora direttore del Fatto Quotidiano, coltiva un’ossessione per Repubblica che non conosce requie. E a cui dedica fiumi di inchiostro. Ancora ieri. E questa volta per il lavoro di questo giornale sulla tempesta di tweet che, nella notte tra il 27 e il 28 maggio, investì il Capo dello Stato minacciato di impeachment dai 5 Stelle di Luigi Di Maio. Un ennesimo grammelot fascistoide di quelli con cui normalmente gratifica i reprobi di turno scelti per la bastonatura. Ora con la storpiatura del cognome, ora con un profluvio di locuzioni mascella in fuori (“mecojoni”). Ragione per cui si potrebbe continuare ad ignorarlo, abbandonandolo al solitario e narcisistico esercizio proprio di chi si nutre ormai di soli ritagli di giornale, sapientemente manipolati a sostegno di una tesi.
È quello che Repubblica ha fatto dal 14 maggio del 2008, quando, su queste pagine, Giuseppe D’Avanzo definì una volta per tutte «il metodo Travaglio», avvistando in quel «metodo» prima ancora che nel suo interprete, la spia di un veleno capace di intossicare la discussione pubblica. E tuttavia, a dieci anni di distanza, proprio la questione oggetto dei suoi ultimi lazzi — la manipolazione del discorso pubblico attraverso centinaia di profili fake Twitter e pagine Facebook — è probabilmente l’occasione adatta per ricordare a chi era allora molto giovane, cosa è e come funziona il «metodo Travaglio».
Scriveva Giuseppe D’Avanzo nel 2008: «Il nostro amico (Travaglio ndr) sceglie un comodo, stortissimo espediente. Si disinteressa del “vero” e del “falso”. Afferra un “fatto” controverso (ne è consapevole, perché non è fesso) e lo getta in faccia agli spettatori lasciandosi dietro una secrezione velenosa che lascia credere. (…) Il “metodo Travaglio” e delle “agenzie del risentimento” è una pratica giornalistica che, con “fatti” ambigui e dubbi, manipola cinicamente il lettore/spettatore. Ne alimenta la collera. Ne distorce la giustificatissima rabbia per la malapolitica. È un paradigma professionale che, sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali (non civiche, non professionali, non politiche), può distruggere chiunque abbia la sventura di essere scelto come target (gli obiettivi vengono scelti con cura tra i più esposti, a destra come a sinistra)». Quindi concludeva: «Anche Travaglio può essere travolto dal “metodo Travaglio”. Travaglio — temo — non ha alcun interesse a raccontarvelo (ecco la sua insincerità) e io penso (ripeto) che la sana, necessaria critica alla classe politico-istituzionale meriti onesto giornalismo e fiducia nel destino comune. Non un qualunquismo antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque».
2008-2018. Dieci anni dopo, ritroviamo Travaglio folgorato dai 5 Stelle e dalla Casaleggio Associati. E la politica del risentimento che si è fatta maggioranza e governo del Paese. Il metodo è dunque questa volta dispiegato a sostegno dei nuovi padroni. Secondo il solito schema. Vediamo. Repubblica, per prima, dà conto il 30 maggio di quest’anno di quanto accaduto sulla rete social di Twitter nella notte tra il 27 e il 28 maggio. Non cita mai né la Russia di Putin, né la fabbrica dei troll di San Pietroburgo con cui è stata intossicata l’elezione del Presidente degli Stati Uniti (una quisquilia per il nostro opinionista) e di cui si è pure occupata. Due mesi dopo, il sito americano FiveThirtyEight riferisce che dei 3 milioni di tweet cinguettati dalla fabbrica delle fake news di Putin ve ne sono 18.254 in lingua italiana. La notizia, ripresa da molti giornali italiani, viene messa insieme alla tweetstorm contro Mattarella. Un errore che Repubblica non commette, continuando a tenere distinte le due vicende (Quirinale e troll russi) che, allo stato, distinte sono. La Procura di Roma apre un’indagine. Travaglio frulla il tutto e, ieri, fa dire a Repubblica quel che Repubblica non ha mai scritto (Putin dietro l’aggressione a Mattarella), mescolando titoli e ritagli di giornali diversi su due storie diverse, articoli su carta e notizie on-line. Una manipolazione necessaria al sabba di pernacchie che deve convincere che questo giornale ha prima pubblicato falsi, si è quindi «autosmentito» e, di fatto, partecipa a una campagna liberticida contro la Rete per ossequio codino a Mattarella. Nel merito — l’integrità del dibattito pubblico rispetto alle manipolazioni in Rete — non una parola. È una questione di cui in fondo discutono l’intero Occidente e gli stessi giganti della Rete. A «mecojoni» non importa un fico secco. O forse si è perso qualche ritaglio di giornale.
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