domenica 20 maggio 2018

Articolo da Repubblica


LA VERITÀ SU BORSELLINO
Attilio Bolzoni


È il dolore che diventa forza, coraggio, passo clamoroso — quello di incontrare in carcere gli assassini di suo padre — per inseguire una verità sempre negata anche dopo tanto tempo. Quello di Fiammetta Borsellino è un bisogno intimo che in realtà si è trasformato in gesto pubblico, un’azione che porta un messaggio a un’Italia addormentata, quasi rassegnata, un’Italia che ricorda le stragi di oltre un quarto di secolo fa con cerimonie e pennacchi ma troppo spesso dà la sensazione di non voler conoscere fino in fondo cosa è accaduto fra il maggio e il luglio del 1992.
È un “ percorso”, quello di Fiammetta, che porta avanti per sé e per tutta la sua famiglia, sempre discreta, sempre lontana dal palcoscenico e dai riflettori, però sempre ferma e decisa a scoprire perché in quegli anni Palermo è stata teatro di guerra. Un dolore profondo per la perdita di un padre, ma anche perché, intorno, nessuno vuole sapere, nessuno vuole capire davvero. Tutto è circoscritto a una verità giudiziaria che è tanta, ma che non è abbastanza. Chi è stato? Chi c’era dietro o insieme a Totò Riina e ai suoi macellai? Chi aveva interesse a far saltare in aria prima Giovanni Falcone e poi suo padre Paolo Borsellino? Ecco perché lei nelle tappe del “ percorso” ha voluto guardare in faccia i due fratelli Graviano, Filippo e Giuseppe, i due boss di Brancaccio che quei massacri hanno organizzato con i Corleonesi. Loro, solo loro ( fra i mafosi) oggi potrebbero rivelare nomi e circostanze che hanno insaguinato un Paese, ma anche sepolto la Prima Repubblica. Loro e solo loro oggi sono a conoscenza dell’identità non soltanto di quelli che hanno ideato i massacri, ma probabilmente anche di quegli altri che le indagini hanno depistato, gli uomini dello Stato che tramavano contro lo Stato, i trattativisti e i dialoganti.
Cosa ha trovato esattamente dall’altra parte del mondo (e dei vetri blindati delle sale colloqui per i detenuti al 41 bis) al momento non è dato sapere. Dalla lettura dell’articolo di Salvo Palazzolo, che ha raccontato questo confronto umano, immaginiamo che Fiammetta abbia trovato silenzio. Ma ci sono silenzi e silenzi.

Per esempio c’è quello di Giuseppe Graviano — il boss che dai suoi era chiamato “Madre Natura” — e c’è quell’altro di suo fratello Filippo. Silenzi diversi, con sfumature di cupezza e di chiusura per il primo e con desideri nascosti per il secondo. Giuseppe che è rimasto sempre “corleonese” nell’animo, Filippo che già in passato ha dato l’impressione di portare altrove la sua esistenza. Forse solo dentro se stesso, forse con una dissociazione “ morbida”, senza accusare nessun altro, caricandosi addosso tutto il peso. Basterebbe una parola dell’uno o dell’altro per aprire un varco in quel muro di omertà ancora più spesso di quello che fu di Cosa Nostra, basterebbe poco per questi due mafiosi ormai seppelliti nelle segrete del 41 bis da venticinque anni. Un altro incontro, un’altra lacrima, un altro sguardo. Fiammetta Borsellino ci sta provando in un’Italia dove non ci prova più nessuno.

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