martedì 9 gennaio 2018

Quattrocentonovantaseimilaquattrocentottantotto


Numeri e prostrazione. 
Casualmente testando Excel ho fatto due acrobazie numeriche e mi sono depresso: ad oggi ho vissuto già 20.687 giorni, le 496.488 ore che titolano questo post. Proseguendo sono 29.789.280 minuti, 1miliardo e 800 milioni, quasi, di secondi. 
Mi sembra di non aver fatto nulla in questo piccolo, riferito agli astri, ma enorme spazio umano a disposizione. 
M'angoscio in quanto, per filosofia, sono uno dei massimi esponenti della piacere di perdere tempo nell'ozio. Davanti a questi numeri però m'assale lo scoramento tipico di chi, l'ho già detto, si alza dal suo posto in treno per prendere i bagagli, approssimandosi all'uscita per l'arrivo alla stazione finale. 
Quasi ventun mila giorni, trascorsi bene o male agiatamente, per fortuna, inizialmente servito e riverito dai genitori, ossequiato dai parenti, attorniato dagli amici. 
Ma in questi casi è d'obbligo guardarsi indietro, tirare linee per cimentarsi in una parziale valutazione. Che credo risulatar negativa, costellata da un pugno di gioie, assediata da rimpianti. 
Farà bene un tal tagliando? Credo di si. Dovrebbe schizzare in cervice la voglia di affannarsi per i giusti valori, per le mete ancora raggiungibili, per traguardi, flebili, appaganti un'esistenza. 
Già! Quali sono questi arrivi di tappa? 
Ho tante cartelle aperte, forse troppe. Dovrò necessariamente fare una cernita. Occorrerà sicuramente un placido senso di costruttività, da ricercasi anche e soprattutto con una sana lettura di classici, inondanti zone oscure che ancora non riesco ad elaborare. Serviranno pazienza ed una punta di orgoglio, non so da dove attingere, una solerzia mai applicata a nulla, una negazione ferma e decisa della parte di me che si sollazza nel vedermi flaccido ed appagato nello stravaccarsi sul divano, alla mercé del nulla, in adorazione dello schermo, felice per il trascorrere del tempo in una solitaria ostinazione a non agire, a non scuotersi dal torpore. 
Forse è giunto il tempo in cui il centellinare il minuto, diviene l'essenziale, in cui il trascorrere dei giorni venga visto come una perdita e non come una felicità per l'arrivo di appuntamenti con lo svago. Dovrà essere tutto svago da ora in avanti. Anche i più temuti ed insopportabili attimi dovranno necessariamente essere trasformati in occasioni, in respiro vitale, in gioia incommensurabile. Perché il tempo passa e altri ventimila giorni non ci saranno più. Le mie vele, di questi tempi, dovrebbero essere spiegate totalmente, la velocità di crociera al massimo. Ed invece a volte m'accorgo di averle già richiuse, facendomi trasportare dalla corrente malvagia di chi gode nel vedermi così. 
M'impegnerò allo spasimo al riguardo. Riponendo i bagagli e prestando attenzione alla magnificenza di tutto quanto sta orbitando intorno a me, soprattutto da chi, sfortunatamente per lei, mi è vicino da quasi metà di questi ventun mila giorni già in memoria.  

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