giovedì 21 dicembre 2017

Peperepepèèèè!!!


Signore e signori dopo "Non è la Rai" vado a presentarvi: "Non è Travaglio"
L'articolo qui sotto infatti è di Mario Calabresi, direttore di Repubblica, giornale finalmente rinsavito. 

Maria Elena Boschi, farsi da parte e salvare il Pd
20 DICEMBRE 2017
DI MARIO CALABRESI
Un anno fa, era il 13 dicembre 2016, commentando la nascita del governo Gentiloni criticammo la scelta di promuovere Maria Elena Boschi, la madre della riforma costituzionale bocciata al referendum, che avrebbe invece dovuto fare un doveroso passo indietro. Riconfermarla, scrivemmo, era "una scelta evitabile che rafforza diffidenze, gonfia il qualunquismo e lascia un retrogusto di furbizia e immaturità".
Una scelta che allora sarebbe stata dettata dalla sola opportunità politica e che avrebbe evitato un finale come quello che è davanti ai nostri occhi. Un anno e dieci giorni dopo infatti la situazione è ben più complicata e grave, le ombre sul cosiddetto Giglio magico si sono moltiplicate e l'affare Etruria è diventato la palla al piede di un partito che appare ostaggio del caso di una piccola banca meno rilevante di quelli avvenuti nel Nord-Est.
L'uscita di scena di Boschi, non dal governo ma dal Partito democratico e dalle sue candidature, è ora il passo necessario e indispensabile per provare a contenere i danni e per mostrare ai propri elettori di aver compreso la differenza tra interesse generale e interesse familiare.
Dopo l'audizione di Federico Ghizzoni molto resta da capire sul ruolo di Marco Carrai, che di Matteo Renzi è da sempre non solo l'uomo di fiducia ma anche una specie di gemello siamese.
In una lettera che pubblichiamo oggi Renzi e Orfini difendono con forza la scelta della commissione d'inchiesta sulle banche, ma la realtà è che il disegno per mettere sotto accusa chi non ha vigilato sulle crisi bancarie non solo è fallito ma si è rivelato - lo ribadiamo convinti - uno sciagurato autogol, un regalo inaspettato alle opposizioni proprio nell'ultimo scorcio di legislatura.
Ogni giorno la situazione peggiora e si ingarbuglia ma Maria Elena Boschi ripete il suo mantra, ribadisce di non aver mai fatto pressioni, di avere soltanto chiesto informazioni sui destini della banca ai cui vertici sedeva suo padre. Continua purtroppo a sfuggirle il concetto dell'opportunità e contemporaneamente quello del conflitto d'interessi.
La vicenda Boschi va esaminata su due piani, diversi ma connessi. È comprensibile, perfino fisiologico, che un politico si occupi del territorio in cui viene eletto. Cura gli interessi dei suoi elettori, è deputato a fare questo. Del resto, le crisi bancarie in Italia sono sempre state risolte attraverso fusioni e acquisizioni. È stata la linea seguita da tutte le nostre Istituzioni.
Per la sottosegretaria, però, non è in discussione questo piano. Ma l'altro.
Non è accettabile che un ministro della Repubblica si occupi di una questione che fa riferimento diretto al padre. Il rapporto di parentela con l'allora vicepresidente di Banca Etruria è il nucleo di un conflitto di interessi che sarebbe censurato in qualsiasi democrazia occidentale. Le regole morali e politiche del conflitto di interessi non possono funzionare a giorni alterni o a governi alterni. Questo è il cuore del problema, non se siano stati commessi illeciti. Di cui nessuno è a conoscenza. E questa ostinazione mostra quel grumo di potere locale da cui, evidentemente, la sottosegretaria non riesce a prendere le distanze.
Il Pd non può farsi carico di questa situazione. Maria Elena Boschi sta diventando un fardello troppo pesante per la principale forza riformista di questo Paese. I sondaggi sono solo l'ultima testimonianza di quanto possa incidere la sua figura. Lei stessa dovrebbe con responsabilità liberare da questo peso il partito che le ha consentito di approdare in Parlamento e al governo. E il segretario accettare l'idea che il bene del Paese e del Pd vengono prima della difesa di un componente del suo gruppo dirigente. A meno di non voler avallare l'idea che il vertice del Partito democratico possa liberamente essere sovrapposto al fantomatico Giglio magico.
Perché in discussione non c'è solo l'esito delle imminenti elezioni, già piuttosto incerte. Il Pd deve porre ora le premesse per assicurarsi la possibilità di rimanere competitivo nei prossimi anni. Il centrosinistra affronta stavolta la partita più difficile. La posta in gioco non è la vittoria o la sconfitta - questo appartiene alla fisiologia di una democrazia - ma che rimanga in vita la prospettiva di un moderno centrosinistra capace di governare i processi e le sfide di questo millennio. E per provare a invertire la rotta e risalire la china ci vogliono gesti netti e chiari, non sterili rivendicazioni che ipotecano il futuro.

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