giovedì 9 novembre 2017

Fobie


Una delle mie più classiche fobie riguarda la cosiddetta liberazione intestinale, allorché non è possibile espletarla, per problematiche varie. Mi è capitato ad esempio recentemente mentre accompagnavo un'amica a ritirare l'auto: appena pranzato ci siamo messi in viaggio quando, appena superato un autogrill, mi è sopraggiunto il messaggio inconfondibile giungente dalle oscure viscere intestinali. Apriti cielo! (e rimani chiuso pertugio): il successivo ristoro era posizionato a circa 23 km, ed è iniziata l'Odissea! 
Come far passare un lasso di tempo accorciabile soltanto premendo sull'acceleratore, mascherando lo stratosferico disagio alla compagna di viaggio? 
In tali circostanze la mia personale psicosi assume il comando di ogni funzione, contro il mio volere, come il marittimo appena salito a bordo dalla pilotina, nella meganave entrante in porto: si azzerano volontà, discernimento, freddezza, padronanza, tutto ruota attorno alle terga, il tempo pare fermarsi, la lontananza dal bagno diviene una sofferenza inimmaginabile, la sudorazione aumenta come se stessi scalando il Pordoi con una Graziella senza cambi, la salivazione "cessa" (nomen omen), le fauci si seccano, le nevrosi s'impossessano di ogni anfratto e nonostante ciò riesco, difficilissima arte questa, a non far trasparire all'esterno quasi nulla di cotanta guerriglia interiore. 
Il dialogo infatti mutò completamente, la mia partecipazione al dialogo si tramutò in una serie futile, banale, di "ohh", "davvero?", "ma daii!" a seconda del momento ciarliero, con un'artistica e innata maestria nel dirigere l'incontrollabile vibrazione delle corde vocali nel verso giusto; se l'astante fosse stata munita di binocolo, si sarebbe accorta dell'impercettibile rivolo di sudore attraversante le tempie; fortunatamente la viaggiatrice ne era sprovvista. 
Intanto la strada scorreva, come nel mio interno l'urgenza per l'espulsivo, mentre in cervice ecco prender forma un enigma faraonico: come mascherare la certa e non prorogabile fermata al successivo autogrill, evitando di alludere ad un impellente bisogno corporale? Il bon ton mi suggerì di farcire e presentare, con disperata nonchalance, la frase buttata lì assieme ad una leggerezza ricordante il canto del cigno di Bolle: "Al prossimo autogrill quasi quasi mi fermo un attimino per andare in bagno a far pipì! Ti scoccia?"   
La pressione interna raggiunse livelli impensabili tanto che iniziarono ad affiorare estreme ipotesi degne di Rambo: bloccarsi in una piazzola di sicurezza fingendo un attacco di panico, scavalcando di corsa il guardrail per defecare nei campi adiacenti, ritornando in auto con un'espressione simile ai veggenti di Medjugorje, raccontandole pietosamente un subitaneo incontro con la "Signora" impaziente di recapitare un messaggio all'umanità intera, oppure gridare di aver avvistato nei campi un extraterrestre intento a riparar il disco con conseguente fuga dal mezzo per la caritatevole assistenza suggellata dal successo e dalla ripartenza dell'alieno felice e festante. 
Per fortuna, pagando quasi con certezza tra non molto le relative ammende da tutor, giunsi all'autogrill e, con la già descritta e spudorata tranquillità, una volta uscito dall'auto fischiettando mi diressi al mai tanto sospirato bagno autostradale, con un'andatura e una postura, al solito, alla Charlot, con rallentamenti e passettini dispensati, centellinati a seconda dell'avanzare o no dello sconquasso interiore. All'interno del locale la ricerca spasmodica delle insegne "toilette" fu simile alla caccia dei viveri lanciati da un elicottero da parte di meteorologi di una stazione scientifica al Polo Sud, da sei mesi abbandonati alla mercé delle gigantesche bufere. 
Una volta liberatomi ed essendomi salvato dalla catastrofe per una manciata di nanosecondi, necessitò spiegare alla ragazza la tempistica temporale non in linea con una semplice minzione:  "C'era una coda ai bagni! Mamma mia! Meno male che non era impellente!" 
Il sorrisino della compagna di viaggio, unito alla desertica assenza di auto nei parcheggi, mi confermarono la relativa sua commiserazione, giustamente elargitami da chi ancora non ha affrontato simili fobie e disfunzioni intestinali, figlie di una sciagurata condotta alimentare perpetrata in lunghi anni vissuti nella gastronomia più estrema ed intensa.       

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