sabato 28 ottobre 2017

Travagliati di tutta Italia, godete!


sabato 28/10/2017
Frecciarenzi

di Marco Travaglio

Da quando, alla stazione romana Tiburtina, è salito sul “Treno dell’Ascolto” alla volta delle 107 province italiane che voleva abolire, Matteo Renzi ha ascoltato più fischi, pernacchie, maledizioni e insulti (il più gettonato, fino alla monotonia, è “buffone”) dei già molti che meritava. Forse anche a causa dell’itinerario, non proprio felicissimo: ma benedetto ragazzo, sai bene che i terremotati laziali, umbri, marchigiani e abruzzesi non vedono l’ora di scuoiarti vivo per le promesse tradite sulle casette e la ricostruzione, e tu da dove cominci il tour “Destinazione Italia”? Da Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo e Molise. Poi sai che vorrebbero farti la pelle anche i pugliesi, fra gasdotti, xylelle e veleni targati Ilva ed Enel, e tu dove prosegui? In Puglia. Per dire: in Lombardia, in Veneto e in Sicilia, dove si vota, manco una capatina. Risultato: urli e strepiti a Spoleto (“buffone, vergogna, Pinocchio!”), dure contestazioni ad Ascoli Piceno (“buffone, vai a lavorare!”), feroci anatemi a Vasto (raggiunta peraltro in auto per non compromettere il materiale ferroviario: “Buffone!”), urla belluine a Termoli (con scorta della forza pubblica: “Buffone!”), strilli assordanti a Polignano a Mare (“vergogna, buffone!”, con variazione vernacola sul tema: Renzi domanda a una signora “Come sta?” e lei, prontissima: “Com’ammamete”), stato d’assedio sui binari di Brindisi (presidiati dalla Digos che si porta via un contestatore: “Vattene, buffone!”).
Unica eccezione, senza rivolte né maleparole, la tappa al sito archeologico di Canne, luogo della storica battaglia fra Romani e Cartaginesi, ma solo perché la città non esiste più. Lì (lo rivela La Verità), in quell’insolito silenzio dovuto esclusivamente alla mancanza di abitanti, si è sentita una sola voce: purtroppo era quella di Renzi, che esortava gli immaginari ascoltatori a “riconoscere le nostre radici e individuare in Annibale e nella sua genialità un punto di riferimento”: auspicio a dir poco azzardato, visto che Annibale era nordafricano, mentre le nostre radici sono sepolte lì sotto impastate al sangue dei Romani massacrati dai Cartaginesi (ora non vorremmo che il Frecciarenzi facesse tappa a Caporetto o dirimpetto a Lissa, magari il 4 dicembre, per riconoscere le radici del suo trionfo al referendum). A quel punto, per Matteo Granturismo, si è resa necessaria, su consiglio dei sanitari, una breve sosta ristoratrice. I medici hanno suggerito almeno un’intera giornata senza sentire una sola volta “buffone”: lui infatti si è barricato in casa per 24 ore. Poi è ripartito, più intrepido che pria, verso lidi più propizi: la Calabria e la Campania.
Ma già a Reggio sono ripartiti i tumulti e gl’insulti, che hanno costretto lui e i suoi cari a riguadagnare frettolosamente la stazione dall’ingresso secondario. E imposto un piccolo ritocco prudenziale al programma, onde evitare che ogni tappa del tour diventi una stazione della Via Crucis: entrare in clandestinità, segretando la tabella di marcia non solo sul sito del partito e dunque agli eventuali militanti, ma anche all’organizzazione del Pd (come ha scoperto Thomas Mackinson sul sito del Fatto). Nessuno deve sapere dove fermerà il convoglio maledetto. Si naviga a vista e si ferma a sorpresa, come i cellulari che traducono i boss al 41-bis dal carcere all’aula bunker. Una versione ferroviaria del vascello fantasma. E pazienza se, non sapendo del suo arrivo, quando Renzi scende non c’è nessuno ad attenderlo: anzi molto meglio, almeno risparmia sugli sputi, tanto ha già fatto il pieno nelle prime due settimane (per il prossimo giro sta pensando, anziché al treno, a una metropolitana: almeno viaggia sottoterra).

L’altroieri, idea geniale: qual è l’unico luogo dove nessuno oserà sputargli e imprecargli in faccia? Una chiesa! Come non averci pensato prima? Detto, fatto. Il segretario ferroviario occupa militarmente la basilica paleocristiana di Paestum all’insaputa dell’arciprete e del vescovo, monta sull’altare e improvvisa dal pulpito un’omelia-comizio per le truppe cammellate di don Vicienzo De Luca e del fido Franco Alfieri, quello che doveva offrire fritture di pesce in cambio di Sì al referendum. Aveva anche pensato di indossare i paramenti sacri, ma poi è rimasto in borghese. Prossimamente don Matteo celebrerà anche messa, darà la comunione, confesserà i penitenti e forse impartirà qualche estrema unzione. Nell’attesa, inaugura a Portici la “conferenza programmatica” del Pd, talmente programmatica che non c’è nemmeno il programma (in compenso nel “comitato scientifico” c’è Maria Elena Boschi, libera docente di Diritto bancario). Intanto a Roma succede di tutto. La Boschi cerca di farsi pagare dal governo un servizio fotografico da mille euro scattato in un viaggio privato in Canada. Verdini annuncia l’ingresso nella maggioranza, da cui peraltro non era mai uscito. I ministri renziani, Boschi inclusa, sono colti da un’epidemia collettiva di dissenteria diplomatica (no vax pure loro?) e disertano il Consiglio dei ministri che conferma Visco alla facciazza loro. La Boschi dà buca anche alla commemorazione di Tina Anselmi, temendo che questa resusciti apposta per gonfiarla di botte. Il presidente del Senato Piero Grasso molla il Pd dipingendolo come un’orda di lanzichenecchi violenti ed eversivi: ma che sarà mai, tanto poi l’ultimo spegne le luci. Infatti i sondaggi danno il Pd in ulteriore picchiata.


Ora il Frecciarenzi è parcheggiato alla stazione di Napoli, in attesa di nuove mirabolanti avventure. Sempre più simile a quello cantato in Generale da Francesco De Gregori: “Segretario dietro la stazione, lo vedi il treno che portava al sole, non fa più fermate neanche per pisciare, si va dritti a casa e tocca lavorare…”.

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