giovedì 26/10/2017
Il Risatellum
di Marco Travaglio
Pur nella sua terrificante orrenditudine, il Rosatellum almeno un merito potrebbe averlo: garantire la non-rielezione del suo autore, il ragionier Ettore Rosato. Se il ragazzo spazzola di Renzi sapesse cos’è, si potrebbe rammentargli l’“eterogenesi dei fini”, ideata dal filosofo tedesco Wilhelm Wundt per descrivere le “conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali”. È il destino cinico e baro che tocca a chiunque tenti di disegnare una legge elettorale su misura di se stesso: favorire gli avversari e pentirsene amaramente quando è troppo tardi. Nel 1993 il centrosinistra taglia il Mattarellum addosso alla gioiosa macchina da guerra di Occhetto: infatti vince B. Nel 2005 B. plasma il Porcellum sul preciso intento di far perdere Prodi e invece lo fa vincere (col Mattarellum avrebbe rivinto B.). Ora tocca a Rosato, ultima testa di legno usata da Renzi per battezzare le sue leggi vergogna (dopo Boschi, Poletti, Madia, Orlando, Giannini ecc.). Secondo una simulazione commissionata da due deputati Pd a un funzionario parlamentare esperto del ramo, nelle regioni del Nord i democratici non eleggeranno un solo parlamentare nei collegi uninominali, tutti appannaggio esclusivo del centrodestra.
E dove pensava di farsi rieleggere il prode Ettore? Ovviamente nel suo collegio di Trieste, che nella simulazione pubblicata da Repubblica segna, alla voce Pd, un desolante “zero”. Grazie alla sua simpatica trovata delle multicandidature, il nostro potrà paracadutarsi in 5 circoscrizioni proporzionali e sperare di passare in almeno una. Ma, se non sarà capolista (e difficilmente lo sarà: la prima piazza è riservata ai big del partito, cioè non a lui), rischierà seriamente di doversi trovare un lavoro. Che, per lui, sarebbe una novità, non avendo mai lavorato in vita sua, a parte una breve parentesi giovanile da impiegato alla Comit e alle Generali. Nato nel 1968 a Trieste per la gioia delle altre città, diplomato in ragioneria, Rosatino scala tutto il cursus honorum (si fa per dire) del politico di professione: consigliere circoscrizionale Dc; consigliere comunale nel centrosinistra di Illy, che premia la sua cieca obbedienza promuovendolo a presidente del consiglio comunale (il più giovane d’Italia); candidato a presidente della Provincia, ovviamente trombato, dunque consigliere provinciale; consigliere regionale della Margherita; infine deputato dal 2003 di stretta obbedienza franceschiniana. Nel 2005 si candida a sindaco di Trieste e naturalmente è ritrombato, ma subito ripremiato come sottosegretario agli Interni, con delega nientepopodimenoché ai vigili del fuoco.
Rieletto, anzi rinominato nel 2008 sempre per grazia franceschina ricevuta, il pompierino triestino ma soprattutto tristino diventa tesoriere del gruppo Pd. Nel ’13 altra rielezione-rinomina e altro scatto in carriera: segretario del gruppo Pd e, in virtù degli alti studi giuridici sostenuti, membro della commissione Affari costituzionali (poi dice che uno si crede un giureconsulto: per forza) e addirittura – tenetevi forte – vicecapogruppo vicario. Con mansioni di alto concetto, tipo – ricorda oggi sul Corriere un anonimo deputato orlandiano – “controllare in deposito le valigie dei deputati per chiedere conto di chi stava partendo”. Praticamente un magazziniere. Poi il colpo di fortuna decisivo: il capogruppo Roberto Speranza si dimette in polemica con Renzi. E finalmente tocca a lui: Ettore-Rosato-per-servirvi. I nazarenologi lo ascrivono ancora alla scuola di pensiero franceschiniana, ma lui con agile balzo saluta l’amico Dario, a cui deve tutto, e si spalma su Renzi, diventandone lo scudo umano e il ventriloquo: più che un capogruppo, un tatuaggio, una seconda pelle, un legging ultraderente, una crema-protezione 80. Qualunque cazzata dica il capo, lui la ripete. Qualunque gaffe faccia il capo, lui la rivendica. Qualunque sconfitta subisca il capo, lui la spaccia per trionfo. È Renzi che traccia il solco, ma è Rosato che lo difende.
Un anno fa, vigilia del referendum, avverte la Nazione tutta: “Votando No si rischia di buttare via trent’anni di lavoro” (di chi, non si sa; ma suoi no di certo). Infatti vince il No. Il Pd perde le Comunali del 2016 e del 2017, anche nel suo Friuli Venezia Giulia, ma lui – che sta a Renzi come Alì il Chimico stava a Saddam – giura che è un successone: “Abbiamo vinto a San Donato Milanese e Cernusco sul Naviglio e strappato ai 5Stelle l’importante città di Mira!” (trascurando colpevolmente Cuneo). Una leccatina oggi, una leccatina domani e Alì Rosato sbaraglia la concorrenza delle migliori lingue del Giglio Magico, vincendo l’innata diffidenza del capo per i non toscani. E si guadagna i galloni di neo-padre costituente al posto della Boschi: vista la fine dell’Italicum, la nuova legge elettorale la scrive lui, o almeno la firma. Il Rosatellum-1 fa così schifo che lo boccia pure il Pd. Il Tedeschellum salta subito perché M5S e alcuni pidini pretendono financo di farlo valere anche in Alto Adige. Ed ecco finalmente il Rosatellum-2, il suo capolavoro. Seguito dal memorabile bis della mozione anti-Visco, che lui peraltro ha solo firmato per nascondere la mano della Boschi. Il perfido Michele Anzaldi finge di difenderlo: “Rosato fa bene il suo lavoro e convoca le riunioni: mica è colpa sua se poi non ci va nessuno”. Ecco, è lì apposta perché si dica sempre che, qualunque cosa faccia, non è colpa sua. Manca sempre il dolo, trattandosi di un personaggio al di sotto di ogni sospetto. Se fa qualcosa, si può star certi che è stato un altro. È un contoterzista. Infatti ieri, quand’è uscita la simulazione, pare si aggirasse per il Transatlantico con un diavolo per capello a spazzola: “Se becco chi mi ha scritto il Rosatellum che non mi fa rieleggere, gli spacco la faccia”.
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