venerdì 18 agosto 2017

Articolo commemorativo


La Rambla di tutti noi
Colpiti i simboli nella via dei turisti e dei ricordi

di CONCITA DE GREGORIO per La Repubblica 

I simboli, tutti. Non basta dire “il cuore”, non serve a niente dire il cuore, non spiega. Ogni città ha molti cuori, per chi la vive. Non serve nemmeno dire “il centro”, e fare esempi: come il Pantheon, Times Square, come Place Vendome, Syntagma. Quello non è il centro di Barcellona. Forse geografico, sulla cartina: solo quello. Chi ci vive non va lì la sera. Nessuno che abiti a Barcellona direbbe: ci vediamo a Canaletas. Troppi turisti, troppa gente di passaggio a ogni ora.
È un’altra cosa, quel luogo. È la rotta del turismo. È l’incrocio di ogni foto-ricordo. È l’abbecedario dei simboli della città: di cui gli abitanti sono saturi, i turisti avidi. Mi chiedono: dicci quel pezzo di strada cos’è.
La Rambla, cos’è. La Rambla de las Flores, che da plaza Catalunya scende verso la statua di Colombo, al mare. Un marciapiede al centro, questa è una rambla, e le due strade che corrono in direzioni opposte ai lati. Devo tornare ai ricordi d’infanzia per spiegarlo. Alla città che era. Ripercorro la rotta del furgone bianco con la memoria di trent’anni fa. I simboli, tutti. In calle Pelai, da dove il van è arrivato girando a destra, c’era la vecchia sede della Vanguardia. Il giornale più antico della città, il giornale di tutti. Oggi c’è una banca, mi sembra. Da calle Pelai ci si ferma al semaforo di plaza Catalunya, per forza. A sinistra la Piazza. La fontana al centro, las palomitas, le colombe: il posto dove le nonne portavano i nipoti a dare il pane raffermo bagnato a las palomas che scendono sulla mano e non fanno male, se non hai paura. El Corte Ingles, che vuol dire “il taglio inglese”, il grande magazzino più famoso di Spagna. I grandi edifici dei negozi di articoli musicali, di elettronica. I grandi marchi internazionali, Fnac, Apple.
A destra le Ramblas. Simbolo numero uno: la fontana di Canaletas, che dà il nome a quel tratto di strada. Piccola, se non lo sai non la noti. Però la leggenda dice che se bevi quell’acqua a Barcellona ci torni, e tutti i turisti la bevono. Ci si danno appuntamento di anno in anno, gli stranieri: ci vediamo a Canaletas. I tifosi del FC Barcelona, i vecchi, si trovano ancora lì a festeggiare le vittorie della squadra perché un tempo, molti anni fa, negli anni 30 del secolo scorso, c’era un giornale sportivo, lì, La Rambla, che esponeva fuori dalla finestra i risultati delle partite.
Simbolo numero due: la Rambla stessa: a destra il Liceu, che bruciò e fu ricostruito in tempo record, il più antico negozio di strumenti e spartiti della città, naturalmente modernista, a sinistra la Casa degli Ombrelli che segna l’ingresso al barrio Gotico: il quartiere della Cattedrale e dei palazzi del governo, delle vecchie churrerie, il quartiere dove prima del risanamento delle Olimpiadi le ragazzine si prostituivano ai portoni e davvero era proibito, dai padri e dai nonni, andare la sera. La casa degli Ombrelli giapponesi, che si chiama casa Cuadros, ha un drago cinese sull’angolo che incanta. La disegnò Vilaseca i Casanovas, architetto catalano. C’era un albergo a ore una volta, dicevano i vecchi. Oggi, di nuovo, una banca. Simbolo numero tre, la Boqueria. Il mercato storico. A destra scendendo verso il mare, l’ingresso al quartiere del Raval. Nessun turista che passi da Barcellona può evitare il rosone di vetro liberty che dà accesso alla Boqueria. Si compra jamon serrano, si fotografano i banchi del pesce con le signore che ti chiamano reina, princesa, mi amor. Al Raval, quartiere di immigrazione oggi anche di studios di artisti, nel luogo dove i turisti ieri hanno trovato ricovero c’è il Macba, museo di arte contemporanea disegnato da Richard Meier e paradiso degli skaters, e una delle sedi della Central, la più bella libreria di Spagna — sempre piena di gente. Il luogo dove il furgone si è fermato, simbolo numero quattro, vede a terra un disegno di Joan Mirò. Mirò, Barcellona. Blu rosso e giallo. Mirò. Non c’è molto da dire su quanto Mirò sia il simbolo contemporaneo di Barcellona: ti accoglie all’aeroporto.

Infine, l’ora. Le cinque della sera. Chissà se il conducente del furgone omicida conosce Garcia Lorca. Non importa. Quello che conta, per la Spagna, è che qualcosa che accade a Las cinco de la tarde è qualcosa di definitivo. Non somiglia a niente, quell’ora. È il tempo in cui il tempo si ferma. La morte del torero, simbolo numero cinque. E infine la politica, per gli amanti del genere. Barcellona alla vigilia di un referendum sull’indipendenza che il governo centrale non vuole, non ammette. La città della politica è lì, a cento metri. Ada Colau, sindaca nata dai movimenti degli sfrattati, è stata la portavoce e l’anima degli Indignados che il mondo intero ricorda nelle immagini in Plaza Catalunya, appunto. Accampati ad occupare il luogo simbolo delle rotte turistiche, ed è contro l’eccesso di turismo consumista che la giunta Colau lavora con una politica contro i subaffitti, i bassi costi, i fast food. Un momento delicatissimo, per la città e per la Generalitat. Simbolo numero sei: il luogo dove si lotta oggi per l’indipendenza, l’autodeterminazione. Puidgemont, il presidente “Simon Bolivar suo malgrado”, l’arcinemico di Rajoy, lavora a cinquecento metri da lì. Ma chissà se questo, se anche questo i terroristi lo avevano messo nel conto. O se bastava invece colpire la fontanella di Canaletas, sfiorarla a tutta velocità, per dire eccoci: siamo qui. Barcellona non si ferma, questa è la risposta. Sulla Rambla, stanotte, scende chi non ci va mai, chi sceglie ogni giorno altri cuori e altri centri. A Canaletas, mi scrivono, ci vediamo tutti. Alla fontana.

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