giovedì 18 maggio 2017

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giovedì 18/05/2017
L’OPINIONE
Quella telefonata è vera, quindi falsa
TRA PADRE E FIGLIO - NON C’È UNA SOLA PAROLA SINCERA NELL’INTERCETTAZIONE DI MATTEO, PURE LE BUGIE SONO CALCOLATE

di Daniela Ranieri

Non credo a una sola parola della telefonata di Matteo Renzi al padre pubblicata in esclusiva dal Fatto. Ovvio che è autentica, e del resto Renzi non l’ha contestata. Anzi, in uno degli eccessi di sincerità che spesso gli riescono fatali, ha ammesso di buon mattino che gli avevamo fatto “un regalo”. Ma tra autentico e vero, come insegnano i filosofi, c’è di mezzo l’infinito.
Renzi conosce molto bene, avendola approvata, la norma contenuta nel decreto ferragostano in materia di guardie forestali che, inopinatamente, obbliga poliziotti, carabinieri e finanzieri a riferire delle indagini in corso ai superiori, i quali a loro volta sono obbligati a comunicare le “informative di reato” e gli sviluppi dell’indagine alla propria “scala gerarchica”, che notoriamente dipende dal governo. Certo, l’ex capo del governo poteva anche non sapere che il padre fosse intercettato, o persino sapere che non era intercettato (per traffico di influenze); certo è che poteva legittimamente ritenere o temere che lo fosse, e chiunque, anche più ingenuo di lui, avrebbe tentato un’altra strada per parlare col papà di affari così delicati. Aspettare di vederlo di persona, ad esempio. O telefonare a un parente o a un vicino non in contatto coi vertici Consip, e farsi passare il babbo. Uno che, stando alle cronache, da mesi riceveva gli amici nel bosco di ulivi per paura di essere ascoltato.
Evidentemente, di non chiamare il babbo lo sapeva l’autista del camper di Renzi, che in merito imbeccò anche il faccendiere Carlo Russo, e non Matteo Renzi. Il quale, autodefinendosi un “ingenuo”, ci tiene molto a mostrarsi come uno che non ha niente da nascondere, e che quel mattino, fuori di sé per l’intervista di Alfredo Mazzei a Repubblica, decide in un raptus di fare chiarezza. Costruisce tutto uno storytelling allo scopo: “Mi metto sulla terrazza della sala da pranzo delle colazioni avendo cura di essere solo”. Solo, sia chiaro. Che non si pensi che ha architettato tutto per far vedere ai camerieri di un hotel di Taranto che lui è uno che tiene alla verità.

Ieri, per istruirci su come leggere la filigrana del dramma edipico, Renzi ha diramato un riepilogo: “1. Le intercettazioni sono illegittime. 2. Vengono pubblicate violando la legge.3. Emerge un quadro in cui un figlio dice al padre “Devi dire la verità.” E il padre risponde dicendo ‘Quella che ti sto dicendo è la verità, devi credermi’.” Per noi l’ordine delle agnizioni è un po’ diverso. C’è un ex capo del governo il cui padre, forse, ha fatto affari con gente che fa affari col governo. Lo sappiamo grazie alle intercettazioni. Emerge un quadro in cui il figlio incalza il padre di dire la verità mentre si premura di raccomandargli di mentire ancora in merito alla presenza della madre a una cena con imprenditori. È un colpo da maestro: Renzi sa che per essere credibile, in questa intemerata a favore della verità, ci deve mettere dentro una bugia. Così ottiene due scopi. Uno è far passare l’idea che al massimo il padre ha commesso il peccato di andare a cena con Romeo, o forse al bar, o al Four Season, e di non volerglielo dire per innocua cialtronaggine toscana. L’altro è di mostrarsi come vittima della “gogna mediatica”. Così ne esce pulito, figlio ingenuo e statista integerrimo che non fa sconti manco al genitore (sul solco della smargiassata ducesca a Otto e mezzo, quando disse che il padre, se colpevole, avrebbe meritato il doppio della pena). Beato chi ci crede. Del resto si tratta di quello che avendo perso il referendum, come promesso si è ritirato dalla politica.

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