Articolo da sviscerare, incredibilmente pregno di affermazioni importanti e stordenti, quello di Vito Mancuso apparso oggi su Repubblica. Da meditare, rosolando il core.
Cristiani o no siate giusti e sarete salvi.
di Vito Mancuso
“La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni” dichiarò il
cardinal Martini nell’ultima intervista, ma io penso che tale ritardo
ecclesiastico sia l’espressione di un più preoccupante ritardo del
cristianesimo in quanto tale, sempre più incapace di sostenere il suo annuncio
fondamentale. Fa problema il centro stesso della fede cristiana, cioè la
salvezza. Come pensarla? Qual è la sua specificità? Roger Haight, gesuita
americano, descrive così la situazione: “Il significato della salvezza rimane
elusivo; ogni cristiano impegnato sa cos’è la salvezza finché non gli si chiede
di spiegarla.”
Non c’è religione senza salvezza, ci sono religioni senza
Dio, nessuna senza salvezza. Per il cristianesimo la salvezza scaturisce dalla
Pasqua di Cristo, al cui riguardo si legge nel Catechismo cattolico: “ Vi è un
duplice aspetto nel Mistero pasquale: con la sua morte Cristo ci libera dal
peccato, con la sua Risurrezione ci dà accesso ad una nuova vita” (art.564).
Questo è il centro del messaggio: la salvezza come redenzione operata da
Cristo. Il concetto di redenzione sconosciuto alle altre religioni: Mosè,
Buddha, Confucio, Maometto sono legislatori, maestri, profeti, saggi, non
redentori, non sono cioè essi a dare la salvezza, che è invece ottenuta dai
fedeli segeundo i loro insegnamenti. Il cristianesimo si distingue perché ritiene
l’umanità corrotta dal peccato originale e incapace di meriti spirituali, e
quindi annuncia la salvezza come operata gratuitamente da Dio mediante la
redenzione ottenuta da Cristo. Ogni anno la Pasqua è la solenne celebrazione di
questo evento. Esaminando la storia di tale dottrina si vede che il primo a
formularla fu San Paolo. Egli scrive: “Tutti hanno peccato e sono privi della
gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù
della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire
come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue” (Romani, 3
23-25). Paolo afferma che la morte di Cristo è stata voluta direttamente da Dio
e altrove aggiunge: “Colui che non aveva conosciuto il peccato, Dio lo trattò
da peccato in nostro favore” (2 Corinzi 5,21)
Leggendo i suoi scritti in ordine cronologico si scopre però
che non sempre San Paolo la pensava così. Nella sua lettera più antica infatti
egli non parla della morte-risurrezione di Cristo come atto redentivo, né
dell’evento salvifico. Al contrario per lui la salvezza deve ancora attuarsi.
Ecco come: “Il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono
della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in
Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti
insieme con loro nelle nubi per andare incontro al Signore” (1 Tessalonicesi
4,16-17)
Paolo scrive che Cristo è morto “per noi”, ma non fa
dipendere la salvezza da quella morte, prova ne sia che non ritiene
quest’ultima voluta da Dio (come invece sosterrà in seguito) ma dagli ebrei,
come appare da queste parole destinate nei secoli ad alimentare
l’antisemitismo: “I giudei hanno persino messo a morte il Signore Gesù e i
profeti, e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici
di tutti gli uomini (2,15-16). Qui non c’è un piano di Dio che manda il Figli a
morire, c’è piuttosto l’inimicizia degli ebrei che hanno ucciso Gesù, il quale
però è stato risuscitato da Dio a chiara dimostrazione della mutazione della
storia che si realizzerà con il suo imminente ritorno. La stessa impostazione
che si ritrova in 1Corinzi.
San Paolo presto prospettiva ed è facile capire il perché:
la mancata venuta di Cristo lo induce a porre il centro focale non più nel
futuro ma nel passato. Cristo è il salvatore non perché tornerà vittorioso ma
perché è morto offrendosi al Padre e riconciliandoci a lui con il suo sangue.
Cristo diviene così il redentore crocifisso. E’ in questa luce che vent’anni
dopo vengono composti i Vangeli. Essi però, riportando anche il pensiero di
Gesù, permettono di sollevare la questione decisiva: Gesù pensava la salvezza
come redenzione oppure, da ebreo osservante, la legava al responsabile
esercizio della libertà?
Vi sono testi evangelici in linea con la teologia della
redenzione, per esempio quando Gesù dice di essere venuto per “dare la vita in
riscatto di molti (Marco 10,45) o quando pronuncia le note parole: “Questo è il
mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.”
(Matteo 26,28). Nei Vangeli però vi sono molti altri testi che presentano la
salvezza legata non a un evento esterno ma alle azioni liberamente poste,
secondo la tradizionale concezione ebraica della salvezza come esito della
fedeltà all’alleanza, cioè come giustizia. Io penso anzi che a Gesù la dottrina
della redenzione non sarebbe piaciuta per nulla, c’è tutto il Discorso della
montagna a dimostrarlo, a partire dalle parole del Padre Nostro sul ruolo
attivo della libertà: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai
nostri debitori”. Gesù prosegue: ”Se voi infatti perdonerete agli uomini le
loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma se voi non perdonerete
agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo
6,12-15). La mossa decisiva spetta alla libertà umana, la quale per Gesù è in
grado di operare anche il bene perché non è irrimediabilmente corrotta, come
invece dirà San Paolo e più radicalmente Sant’Agostino.
L’idea di una libertà efficace in ordine alla salvezza si
ritrova in molti altri passi evangelici tra cui: “Col giudizio con cui
giudicherete sarete giudicati, e con la misura con cui misurerete sarete
misurati” (Matteo 7,2). Il principio salvifico è quindi legato alla prassi
responsabile: “Non chi mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli,
ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7,21). Il
Discorso della montagna, cuore del messaggio di Gesù, è un appello alla libertà
quale via efficace per il conseguimento della salvezza.
A questo punto appare evidente la problematicità della
successiva costruzione teologica cristiana basata sulla redenzione, da cui la
difficoltà nel rispondere alle seguenti questioni: 1) In cosa consiste
propriamente la redenzione operata da Cristo? 2) L’atto redentivo vero e
proprio è la morte di croce o è la risurrezione? 3) Qual è la sorte di chi non
vi partecipa? 4) Da cosa si vieni redenti: dalla morte, dal Diavolo,
dall’egoismo, dal mondo, dal castigo di Dio, dalla Legge, dal peccato o da
tutto questo messo insieme? La radice dell’aporia risiede a mio avviso
nell’idea di una specificità cristiana della salvezza in quanto legata ad un
determinato evento storico, cioè nell’impostazione data al cristianesimo da San
Paolo ed estranea a Gesù. In realtà occorre pensare che la salvezza è sempre
stata disponibile agli esseri umani, a qualunque religione o non-religione
appartengano, perché è legata al bene e alla giustizia. E’ il Vangelo ad
affermarlo: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno
preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e
mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito” (Matteo, 25,34-36). Nel Libro dei
Morti dell’antico Egitto vi sono parole analoghe: “Ho soddisfatto Dio con ciò
che ama: ho dato il pane all’affamato, acqua all’assetato, vestiti all’ignudo,
una barca a chi non l’aveva” (Cap.125). Il testo risale a 1500 anni prima di
Cristo e dicendo le stesse cose mostra il vero senso della salvezza, che mai
mancò al genere umano, ben prima del cristianesimo storico: la liberazione
dall’ego e l’apeertura al bene, all’amore, alla giustizia.
Io ritengo non implausibile pensare che, in chi pratica
questo stile di vita, possa generarsi una peculiare disposizione della sua
energia costitutiva (ciò che tradizionalmente si chiama anima) in grado di
vincere la curvatura dello spazio-tempo.
Vito Mancuso
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