Un luogo ideale per trasmettere i miei pensieri a chi abbia voglia e pazienza di leggerli. Senza altro scopo che il portare alla luce i sentimenti che mi differenziano dai bovini, anche se alcune volte scrivo come loro, grammaticalmente parlando! Grazie!
lunedì 22 febbraio 2016
O Capitano, loro Capitano!
La vicenda Totti ammalia ed attizza legioni di tifosi calcistici, di fede romanista e non.
La bandiera nello sport, già di per sé in via d'estinzione, è patrimonio comune e degna di rispetto persino nei cuori degli acerrimi rivali. Totti è l'ultimo esempio. Ha preferito Roma su tutto. Quand'era giovane e potente ha rifiutato offerte colossali da parte di spagnoli, inglesi per rimanere nella sua città pur sapendo che il suo palmares non si sarebbe riempito tanto come da altre parti.
Il Capitano in una società di calcio è il faro, il fulcro, l'esempio. Se questo ruolo collima con fedeltà ecco crearsi la Bandiera, che esige rispetto e soprattutto protezione negli anni in cui, per anagrafica, viene meno il ruolo sportivo e l'impegno gli va nuovamente riservato all'interno della società, per incarichi più o meno importanti.
Duole ancora nel cuore dei rossoneri il brutto saluto finale riservato ad una bandiera come è stato Paolo Maldini che, dopo aver trascorso l'intera carriera nel Milan, fu addirittura fischiato nell'ultima partita da una minoranza di imbecilli e la società, insensibile ai suoi trascorsi, non ha trovato il modo d'inserirlo nei proprio quadri dirigenziali, cosa invece resa possibile nei confronti di un'altra bandiera, il Capitano per antonomasia Franco Baresi.
E Del Piero nella Juventus? Un finale meno amaro di quello di Maldini ma pur sempre un anomalo finale, non degno di un'altra bandiera calcistica.
Non così invece l'Inter ha trattato Zanetti, attuale vice-presidente della società nerazzurra, esempio di calciatore universalmente apprezzato per fedeltà e lealtà in campo.
Pur restando evidente che tra dieci - vent'anni di Totti la gioventù contemporanea di quei tempi futuri non ricorderà molto se non per sentito dire, l'errore fatale a mio parere romanista è la gestione del fine carriera del Pupone.
Occorreva parlare, dialogare, capirsi. Occorreva una strategia d'intesa e d'intenti, un programma solido su come arrivare all'uscita di scena di un campione riconosciuto ovunque, ammirato in ogni dove per le sue giocate uniche, per i suoi lampi di genio.
La società Roma avrebbe dovuto supportare i desideri del suo gioiello, ne avrebbe dovuto tastare le ansie, i dolori per il vicino tramonto biologico sportivo, preservandone l'immagine e preparando il momento altrettanto storico allorquando di comune intento sarà decisa l'uscita di scena, aprendogli la strada per la dirigenza, per la scrivania rispettosa della gloria del passato.
In ultimo: quello che amareggia i goditori di pallone è essenzialmente un fatto che lede un comandamento del tifo: non si rimanda a casa una bandiera. Qualunque cosa abbia detto o fatto. Lo sport è ancora (a volte) bello per la presenza in campo di fantasia, bellezza e arte sgorganti da personaggi unici ed oramai in estinzione che giocano come Totti.
Nobilitando tutto lo Sport.
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