21 Maggio
Del doman non v'è certezza, disse un ricco dotto. Attendere il tram ipertecnologico non dona sicurezza di realizzarsi in modo autocompiacente, a meno di non essere egoriferito.
Perciò giunto a quest'ora ove la
porta veneranda è sempre più vicina,
occorre spazzare la pervicace tentazione
del domani ripagante, ingannator del soccorrevole e filantropo.
Il domani è più vicino dell'oggi, i secondi scappano via, come la vita.
Soffocare la voglia di novità,
stuzzicante, quasi d'intrigo è controproducente, assillante e bramato dalla parte di te
che costruisce il divenir,
post-ponendolo con sicumera al successivo dì,
nell'attimo esatto in cui il precedente diventa presente.
Constatato che la vita sia mortale
e che l'immane quantità di giorni
dilapidati scioccamente
non torneran mai più,
occorre sveltire, partire,
snellire, agognare,
volare, ansimare istantaneamente
per poter,
prima della notte gelida incombente,
aver fortuna di giacere
un unico attimo, in solitudine, sul colle primordiale ritornante,
scrutando orizzonti pieni ed immoti
e nel momento in cui,
per curiosità o per scrutare
il soggiacente sentiero percorso,
la paura o l'arguzia insita in noi
volgeranno quasi in obtorto collo
i nostri occhi a rimirar le buche
e le soste fatte in vita,
scorgendo il misero ma essenziale
unico frutto donato
a chi ripercorrerà il cammino
in un futuro assente di noi,
in quell'attimo, preludio di quello eterno,
lo sguardo e la bocca già abbraccianti
di par loro uno strepitoso sigaro,
rilasseranno i nervi,
scoperchieranno li nostri denti,
ammesso che ancora ve ne siano,
in un placido sorriso,
equivalente a posar zaino
e bastone al focolar,
apprestandosi a narrar tenzone
sorseggiando di quello buono e
compiacendosi, per la prima volta in vita,
con gli inquilini di noi stessi.
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