lunedì 3 marzo 2014

Il dio Chateaux d'Ax


Giornate come queste, dovrebbero essere studiate e molto.
Fossi stato un romano antico avrei distrutto il triclinio, avrei messo alla porta gli dei del fare: Diana, Minerva, Giano e Pomona. Sarei rimasto solo con Bacco, ma non troppo visto che alcune delle sue goderecce specificità richiedono sudore, ed il dio dell'Ozio che non conosco ma credo essere parente stretto di Morfeo. 

La mattina che si apre al solito presto, prima dell'alba, mi pone in un'organizzazione in stile Valtur, centellinando i momenti futuri di questo giorno di libertà in modo da lasciare poco al nonnulla, alla grattatola della pancia, in quanto il mio "io" affaccendato è sì molto molto pieno d'idee, ma purtroppo inascoltato. 

Esce il Sole e illumina la mia giornata pregna di belle cose, di piacevoli appuntamenti con la vita esterna: corsa mattutina, passeggiata sul lungomare, giro in città prima di pranzo, che sarà frugale e poi via a Lerici a respirare salmastro e a vedere il mare con appresso sano libro e musica, musica nelle orecchie egoisticamente sparata dall'ipod. 

Ma ecco che entra il parente stretto di Bacco, il dio Chateaux d'Ax da me così chiamato, colui che m'incunea, riuscendoci spesso, la sana, od insana, voglia del non-fare. 
Ed allora una nuvoletta intravista sopra i monti viene letta come l'arrivo di una tormenta, un festival del plumbeo, facendomi di conseguenza auto-convincere a rinunciare alla passeggiata salutare divenuta nella cervice faticosa, molto faticosa, praticamente la maratona di Abebe Bikila!

Luccica il divano, d'altronde il dio dell'ozio ne è costruttore, la televisione diverrà a breve incandescente, il film che volevo vedere, anzi rivedere, il Maratoneta, è escluso a priori perché lì Dustin corre, corre, corre troppo! 
I miei progetti affievoliscono come i proponimenti del fare di ogni governo italico da quarant'anni a questa parte, acquista valore lo scorrere del tempo senza meta, senza ritegno decoroso per tutti coloro che stanno lavorando fuori di qui, ciò che mi differenzia da un allettato è la mancanza del trespolo con le flebo e l'assenza del pappagallo, non del tipo vociante. 
Leggo ma con delicatezza, senza sforzarmi, ascolto musica ma a livelli e di genere soft, arriva mezzogiorno e mi preparo un pranzo immediatamente da cassare, se conosciuto, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, in quanto palesemente nocivo. 

Il meriggio incombe, come la pesantezza delle palpebre che il dio Chateaux d'Ax appositamente rende quasi impossibili da tenere aperte. Vedo a malapena arrivare la dea vestale Pennica, circondata da cuscini e piume, che mi accarezza e mi accoglie nel suo grembo per un sonnellino megagalattico di oltre due ore. 
Appena la dea Pennica mi lascia, attorno a me arriva l'ombra della sera e il dio dell'ozio mi pone attorno gnomi che, schioccando le dita per attirar attenzione, vietano al mio "io" del fare di voltarsi indietro, per non pormi domande esistenziali che la disintossicazione dall'ozio a volte fa sorgere del tipo "Che ho fatto oggi di umano?". 

Schioccano le dita di chi mi mette nel rimanente cammino del dì altri traguardi del non-fare, altre occasioni inconcludenti ma idonee allo stile di vita ozio-godereccio. 
Giocare, tornare a leggere, bersi un Martini Rosso con una lacrima di Gin assieme alle patatine rigorosamente fresche e zigrinate. Ed arriva il tempo dei saluti, il dio dell'Ozio mi lascia soddisfatto del mio comportamento, felice nel vedere un sì tanto fedele discepolo!

Non resta che riconciliarmi con la parte di me laboriosa e sempre perdente che, ombrata come una signora inzuppata alla fermata dell'autobus da un'andatura veloce della macchina sopra una pozzanghera, aspetta le mie scuse ed una parvenza di vissuta operatività, come ad esempio il riordinare casa che pare sia stata visitata da ladri ipovedenti e portatori di Parkinson!   

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