sabato 20 aprile 2024

No ecco...

 


Beh si, la notizia andrebbe approfondita... ma la foto... chi dei due è... ehm... 

Tutto velato

 


Opinione

 

Le ricette fallite dei 7 nani e i due pesi su Iran e Israele
DI ELENA BASILE
Sembra un film distopico. I leader dei Sette Paesi, che un tempo erano i più sviluppati del mondo e oggi costituiscono una minoranza arroccata alla propria potenza militare e in declino economico, diffondono sui media la loro fotografia in una giornata di sole con lo sfondo dei Faraglioni di Capri. E noi abbiamo l’impressione che il genere umano sia ostaggio di politiche deliranti, senza veri scopi strategici, terribilmente dannose per i cittadini occidentali in quanto causano povertà, disparità sociale, recessione, distruzione dell’industria e della transizione verde, negazione dello stato sociale, guerra e rischio di conflitto nucleare.
Si sono riuniti per confermare la strategia che per due anni è risultata perdente: armare l’Ucraina per condurre la Russia a una “pace giusta”. Giusta per chi? Per Zelensky o per le popolazioni russofone? Giusta per noi occidentali o per i russi? Che significa pace giusta? La pace è stata storicamente il risultato della diplomazia che ha dovuto necessariamente tenere in conto gli opposti interessi in gioco e le forze in campo. Era giusto considerare la Russia il perdente della Guerra fredda? No, era una constatazione di fatto. Dal 1989 al 2007 Mosca ha dovuto ingoiare le prepotenze occidentali, inclusi i bombardamenti su Belgrado e due allargamenti della Nato. Poi ha rialzato la testa, notando che il mondo cominciava a cambiare e gli emergenti si organizzavano intorno alla Cina. Si è opposta al colpo di Stato ucraino di piazza Maidan e ha conservato le basi di Sebastopoli sul mar Nero annettendo la Crimea. Erano giusti il colpo di Stato a Kiev e la reazione russa di annettere la Crimea senza spargimenti di sangue?
La giustizia nelle relazioni internazionali è una categoria discutibile. Il diritto internazionale dal 1989 in poi, per non andare troppo indietro negli anni, è stato violato ripetutamente dagli Stati Uniti, da Israele e dall’Occidente con le guerre “umanitarie” (Belgrado, Afghanistan, Iraq, Siria, Libia). Come ricorda Piergiorgio Odifreddi, dal 1991 si contano 250 interventi militari Usa al di fuori dei loro confini. In tutto il mondo abbiamo 800 basi militari Usa (la Cina ne ha una sola a Gibuti). In Italia ve ne sono 35, anche nucleari. Come possono i politici delle democrazie europee balbettare parole senza senso che poco hanno a che vedere con la storia e con la realtà? Si creano categorie morali funzionali ai nostri interessi. L’opinione pubblica introietta luoghi comuni che distorcono le vere dinamiche internazionali.
Al G7, su proposta di Ursula von der Leyen – presidente della Commissione che dovrebbe incarnare il pilastro comunitario, la base dei sogni dei federalisti europei – si avallano nuove sanzioni all’Iran, colpevole dopo due attacchi terroristici con centinaia di morti e la violazione israeliana della loro rappresentanza diplomatica, di reagire simbolicamente, concordemente con la Cia, senza provocare morti. I difensori della democrazia liberale e dei diritti umani non impongono alcuna sanzione a Israele che, oltre a violare il diritto internazionale e umanitario, a rendersi colpevole di crimini di guerra a Gaza e in Cisgiordania, con l’attentato all’ambasciata iraniana di Damasco, ha confermato di avere un governo terrorista. Il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, artefice dell’attacco alla Libia, ha avuto la sfrontatezza di affermare che la risposta senza danni e morti di Teheran era sproporzionata rispetto all’attacco all’ambasciata iraniana in Siria con numerose vittime. Mai la classe dirigente è sembrata così lontana dal senso comune, dalla morale comune, come oggi.
Due italiani, Mario Draghi ed Enrico Letta – e dovremmo pure esserne fieri – hanno stilato vecchie proposte in nuovi documenti sul mercato comune, sugli investimenti nei beni comuni, sul debito comune, sulla politica industriale europea, sulla crescita di ricerca e sviluppo, sull’Europa della difesa. Un parziale scimmiottamento di quanto Mario Monti aveva già scritto e i “riformisti” dell’Europa hanno ripetuto per anni senza che nulla mutasse. Ma oggi la dissonanza è più grave. Essi hanno sbagliato previsioni sulla fine della guerra in Ucraina, sono complici del massacro dei diciottenni ucraini e della crisi economica europea, della fine di una voce in grado di proteggere le finalità europee in ambito Nato. A riprova che non esiste la responsabilità per le proprie azioni e i propri sbagli, ritornano sul palco per venderci il sogno di un’Europa unita, indipendente, in grado di investire nei beni comuni, nella sua industria, nella sua ricerca, nella sua difesa. Già: la difesa in un quadro di autonomia strategica dagli Usa o come braccio armato degli interessi di oltreoceano? Domande ignorate da Tajani e dagli altri esponenti di una Ue che ha sdoganato il mostro fascio-nazista affinché, una volta al potere, si allinei ai voleri delle oligarchie.

Concordanza

 

Cum grana Salis
di Marco Travaglio
Siccome Bonelli&Fratoianni la candidano, si presume che desiderino l’elezione di Ilaria Salis a eurodeputata. Quindi spiegheranno cos’abbia in comune Avs con l’insegnante antagonista milanese, a parte la giusta indignazione per i trattamenti da lei subiti a Budapest. Che però è un po’ poco per issarla al Parlamento europeo. Dopo le quattro condanne definitive in Italia a 1 anno e 9 mesi per “accensioni ed esplosioni pericolose”, resistenza a pubblico ufficiale, invasione di edifici e denunciata 29 volte per reati simili (tipici dell’attivismo politico), la Salis deve rispondere in Ungheria di accuse più gravi: associazione per delinquere e lesioni ai danni di due neonazisti, per cui è in custodia cautelare da 14 mesi. Sui media si sprecano i paralleli con Enzo Tortora e Toni Negri, arrestati per camorra e terrorismo, candidati da Pannella nei Radicali e scarcerati appena eletti grazie all’immunità con epiloghi opposti: Tortora chiese a Strasburgo di concedere l’autorizzazione a procedere, fu condannato in primo grado e assolto in appello; Negri fuggì in Francia per 14 anni mentre la Cassazione lo condannava a 12 anni per associazione sovversiva e concorso in rapina col morto. Ma entrambi erano in mano ai giudici italiani: la Salis a quelli ungheresi. Da cui dipende in esclusiva il suo futuro.
Sicuri che politicizzare il suo caso fino a candidarla per darle l’immunità indurrà i giudici di Budapest a trattarla coi guanti anziché a condannarla al massimo della pena, cioè a 24 anni? Si dirà: appena eletta dovranno scarcerarla per forza e l’Ungheria non la vedrà più. Magari. Intanto non è certo che sia eletta: se Avs non raggiunge il 4% (cosa possibile, visti i sondaggi e la concorrenza di Santoro) o se lei non riceve abbastanza preferenze, rimane trombata e per i giudici diventa un’imputata che ha tentato di sottrarsi alla giustizia, per giunta scaricata dai suoi stessi concittadini. Un pessimo viatico per la sentenza. Se invece viene eletta, non è affatto detto che i giudici la liberino: in casi analoghi, alcuni sono usciti e hanno raggiunto l’Europarlamento, altri no (nella democraticissima Spagna l’indipendentista catalano Junqueras fu lasciato in cella dalla Corte suprema e sostituito in sei mesi dal primo dei non eletti). Se invece i giudici la scarcerano, possono chiedere all’aula di levarle l’immunità e autorizzarne un nuovo arresto. O condannarla e reclamarne la consegna per farle espiare la pena che, se definitiva, non ammette immunità. Animati dalle migliori intenzioni, Bonelli&Fratoianni rischiano di farle danni devastanti. Come la donna Prassede del Manzoni, “molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che purtroppo può anche guastare”.

L'Amaca

 

Uno due tre quattro cinque sei e sette
DI MICHELE SERRA
I“manel” (panel di soli maschi) sono un incidente molto frequente, la cui caratteristica fondamentale è che nessuno se ne accorge, tanto normale pare ai maschi partecipanti la composizione mono-genere.
Da qualche anno, per esclusivo merito della critica femminile, non accorgersene è decisamente più difficile; e diventa poi madornale, questo non accorgersene, se l’argomento in questione è l’interruzione di gravidanza, come è accaduto l’altra sera da Bruno Vespa con conseguente putiferio mediatico e politico.
Le giustificazioni a posteriori di Vespa (un paio di donne le avevamo invitate, ma non potevano venire) non mitigano l’offesa al buon senso — prima ancora che alla parità di genere — inflitta dallo spettacolo: sette maschi che parlano della più materialmente femminile delle questioni. Qualcosa sarebbe cambiato, in leggermente meno peggio, se anche uno solo dei partecipanti — meglio ancora il conduttore — avesse rilevato in tempo reale quello che stava accadendo, scusandosi con chi era in ascolto. Bastava una sola frase, tipo: ci rendiamo conto che un dibattito di soli maschi sul corpo delle donne, prima ancora che una prepotenza, è una scemenza, ma non siamo riusciti a evitarla.
Ma quella frase non ha potuto essere pronunciata perché la situazione deve essere sembrata, a tutti i presenti, di assoluta normalità. Maschi dai quaranta ai settanta che si azzuffano tra loro sull’universo mondo: non è forse la norma?
Se ancora qualcuno ritiene che il femminismo sia questione ideologica, beh, no. Il femminismo è una constatazione.

venerdì 19 aprile 2024

Formidabile Selvaggia!



L’ultima di Lollo: al ristorante il “formaggio di regime”

di Selvaggia Lucarelli 

Vivere in Italia nello stesso secolo di Francesco Lollobrigida è un privilegio riservato a pochi. È come esser nati a Parigi ai tempi di Molière, o alla corte degli Sforza negli anni d’oro di Leonardo: è respirare la stessa aria di uno dei più grandi performer viventi e assistere alle mirabolanti invenzioni di una delle menti più raffinate della contemporaneità. Dopo il geniale progetto di “abbinare il vino agli eventi sportivi”, probabilmente ispirato alla vita di Paul Gascoigne, l’ultima intuizione del ministro dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare offusca, per splendore, tutte le precedenti: “Vorrei imporre un piatto dedicato al formaggio nei menu degli esercizi di ristorazione”. Ha detto proprio così, imporre. Ora, è vero che l’ha detto da uno stand del Vinitaly e non ci è dato sapere che ore fossero e quanti altri stand di produttori di Prosecco avesse visitato in precedenza, ma prendiamola per buona: formaggio obbligatorio. Panico tra i ristoratori vegani, per cui potrebbe essere prevista una sorta di ‘Cura Ludovico’ con la pubblicità della Parmareggio con il Topo Emiliano che canta a un volume lancinante, e anche tra i titolari di ristoranti cinesi, perché il ‘taleggio alla cantonese’ non funziona e poi in generale i cinesi sono per la maggior parte intolleranti al lattosio. Già, che fine faranno gli allergici? Si stanno valutando diverse soluzioni, dal registro degli ‘obiettori di crescenza’ fino al cheese pass, un codice qr da scansionare all’ingresso per poter varcare la soglia del ristorante. Dal punto di vista promozionale, i ristoranti più meritori saranno contraddistinti da un’esclusiva ‘stalla Michelin’. E a proposito di stalle, che succederà se il latte non dovesse bastare o se Lollo, per quel vecchio tarlo della sostituzione etnica, scoprisse che la maggior parte degli operatori nella filiera del latte nel Nord Italia sono indiani del Punjab? Mio malgrado, nella mia testa si è già formata un’immagine terrificante: Francesco Lollobrigida, a petto nudo e col fez in testa, che insemina personalmente la vitellina Mary, sua vecchia conoscenza da una delle sue prime uscite da ministro a una fiera zootecnica. Mungere, e mungeremo!

Meditate


Eleggiamo eurodeputati utili come i 50 contro Big Pharma

Sottosopra 

Non tutte le brutte notizie vengono per nuocere: qualcuna serve ad andare a votare. Prendi la bocciatura, al Parlamento europeo, dell’emendamento per l’istituzione di un’infrastruttura pubblica per la ricerca farmacologica e biomedica: una specie di Cern della Salute che avrebbe potuto recuperare la stortura palese nel rapporto tra la Ue e Big Pharma, lobby tra le più potenti al mondo.
La European Medicines Facility, così si sarebbe chiamata, è una delle proposte cruciali per garantire il diritto alla salute della cittadinanza europea, un diritto fondamentale e sempre più minacciato: non solo da possibili pandemie e dall’attuale impreparazione ad affrontarle, come testimonia l’indagine aperta sulle dinamiche non trasparenti nell’acquisto di vaccini per il Covid, ma persino dall’inevitabile scorrere del tempo. Basti dire che da ora al 2100 – racconta il libro Quale Europa (Donzelli) – gli over 65 aumenteranno di 4 milioni ogni decennio, fino a essere in tutto 130,3 milioni su una popolazione complessiva di 451. Crescerà parecchio, insomma, il numero di persone che avranno bisogno di servizi sanitari e assistenziali, mentre diminuisce la forza lavoro che con le imposte finanzia le prestazioni – già ora più di 1 euro ogni 10 dei nostri redditi è speso per la salute – e, proprio grazie allo strapotere delle lobby, aumentano i prezzi delle cure. Il Cern della Salute necessiterebbe di un investimento di 7 miliardi annui, e avrebbe come missione la ricerca e la messa in produzione di vaccini e farmaci, sottraendoli al dominio del profitto di Big Pharma, che solo dagli opachi contratti per il siero anti Covid ha incassato 100 miliardi. Cosa c’è di buono allora nel fatto che la proposta sia saltata?
Per capirlo bisogna ricostruire un po’ la storia, e guardare alle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno, che troppo spesso vengono considerate più test sul governo nazionale che occasione di cambiamento. Ma così non è, ed è ora di capirlo. È stato infatti grazie a 50 europarlamentari, per lo più italiani ma non solo, che l’emendamento è stato portato al voto, dopo l’affossamento avvenuto in Commissione Ambiente, Sanità pubblica e Sicurezza alimentare del Parlamento europeo, con tanto di risvolti da libro giallo: il rapporto che segnala l’utilità della struttura è stato fatto sparire dal sito dell’apposita commissione, e poi ripubblicato solo dopo veementi proteste. La volontà di quei 50 parlamentari si è rafforzata al momento del voto, riuscendo a coinvolgere molti altri colleghi: il risultato ha contato 156 sì (e 98 astenuti: molti dei quali, secondo i rumor, avrebbero dovuto dire no per una miope disciplina di gruppo). Non abbastanza, evidentemente, ma la prova ennesima che l’Unione europea si trova davanti a un passaggio strettissimo: le elezioni di giugno potranno consolidare una spinta autoritaria, confermare il recinto stretto del neoliberismo o spingere la giustizia sociale e ambientale, per un’unione inclusiva e votata alla pace. A fronte di sondaggi inquietanti sull’esito elettorale, per ottenere questo terzo risultato servono deputate e deputati fortemente progressisti, come i 50 del Cern della Salute, anche appartenenti a schieramenti diversi ma ugualmente votati al cambiamento, che stringano alleanze di scopo su una varietà di questioni che incidono direttamente sulla vita di cittadine e cittadini: la salute, i diritti civili, la circolazione della conoscenza, la crisi ambientale e, non ultimo, l’ancoraggio alla pace. Sono questi i temi su cui si gioca il nostro futuro: è doveroso che lo sappia chi vota, ed è fondamentale che chi chiede il voto sia pronto a darsi realmente da fare nella più importante istituzione comunitaria che abbiamo.